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In dialogo con Ojito: artista circense e molto altro

Ojito corda blu cieloTra colline, cavalli e ulivi si trova Equinolium, la tana di Ojito, l’artista che sto per incontrare.

Ojito è un artista circense che non ama molto le interviste, ma per oggi, ha fatto un’eccezione raccontando un po’ di sé e della sua visione dell’arte.

Ojito è il fondatore materiale e ideale del circo Krom e ne ha creato la visione filosofica di fondo. Il circo Krom è un circo contemporaneo nella cui presentazione Ojito scrive: “Siamo un circo contemporaneo, che ha scelto di vivere lo spettacolo della vita. Per noi fare circo è vita, è l’insieme di tutte le arti, è gioia e dolore insieme. Il nostro chapiteau è il luogo dove ci esibiamo, e dove creiamo laboratori-scuola di circo, teatro, danza…per dare la possibilità a tutti di “tirare fuori” la propria espressività artistica.
Siamo nomadi e amiamo il viaggio oltre ogni barriera imposta. Viviamo in modo comunitario e riconosciamo la terra come nostra unica madre, cercando di rispettarla il più possibile con l’amore per gli animali, il riciclo e il riutilizzo di materiali di scarto. Ci proponiamo di sperimentare spazio e tempo, scegliendo di vivere rinunciando ai ritmi frenetici imposti dalla società odierna per realizzare, crescere, condividere, creare e…sognare…”

Rivolgo all’artista qualche domanda e mentre lo ascolto rispondere con il suo accento greco e le sue narrazioni oniriche mi sento un po’ fuori dal tempo e dello spazio.

Ojito 1

Raccontaci un po’ di te e di come sei diventato clown

Sono nato il 3 marzo del 1984 a Salonicco in una allegra e numerosa famiglia dove sono stato il primo di 12 figli. Mio padre giocava spesso con noi e con gli altri bambini del quartiere. Ho lasciato la scuola abbastanza presto e quando ci andavo a volte entravo in classe direttamente dalla finestra posta al secondo piano visto che già mi piaceva fare il funambolo e arrampicarmi sugli alberi.

A 14 anni ho incontrato un amico giocoliere e mi è capitato di vedere in video il  Cirque du Soleil. Si può dire che è iniziato tutto da lì, la mia energia si è come risvegliata. Ho iniziato così e a 17 anni già lavoravo come trampoliere e giocoliere.

Ojito bianco e nero

Cosa è oggi come oggi il circo?

Prima di tutto il circo è una dimensione internazionale, aperta, multiculturale alla quale non si addice il concetto di confine o di frontiera. Il circo lo fanno gli artisti e non si diventa artista o clown con la disciplina o con l’allenamento si tratta di essere più che di diventare. Se non c’è dentro qualcosa di folle se non si è un po’ il jocker non si è artisti.

Per stare in un circo bisogna sentirsi parte di una famiglia, di una comune, non basta saper fare qualcosa di artistico.

A volte restare fedeli alla propria visione del mondo è molto duro e si possono perdere amici per questo, si può essere giudicati o allontanati. Essere circense vuol dire essere animati dalla voglia di libertà, dalla voglia di sconfiggere l’ignoranza e dal profondo desiderio di cambiare il mondo.

Se sei un giocoliere ma non vuoi cambiare il mondo allora sei soltanto la metà di quello che potresti essere.

E poi, soprattutto il circo è festa.

Ojito circo

Ma allora cosa deve saper fare un clown per definirsi tale, secondo te?

Tutti possiamo essere un clown perché tutti portiamo un clown dentro di noi.

Il clown è colui che ti fa “piangere o ridere” e il clown più bravo è quello che riesce a farlo toccandoti più profondamente e se poi lo riesce a fare con meno cose possibile è meglio.

Quanto allenamento c’è dietro ai tuoi spettacoli?

Fino a 25 anni mi sono allenato costantemente e intensamente oggi ho imparato ad allenarmi anche facendo altre attività più legate alla natura.

Ojito disegno

Di cosa pensi che abbiano bisogno i bambini oggi, per poter crescere bene in questa società?

I bambini sono le chiavi del paradiso. Il mondo dovrebbe essere più a misura di bambino offrendo spazi pensati e costruiti per loro. Gli adulti dovrebbero giocare di più con i bambini e imparare a riconoscere i loro reali bisogni.

Il nostro stile di vita (cibi, vita sedentaria, prodotti chimici, ambienti, certe modalità educative iperprotettive) ci indebolisce molto e per rinforzarsi i bambini avrebbero bisogno di esperienze maggiormente a contatto con la natura e con l’aria aperta e con gli animali per mettere alla prova il loro corpo e le loro capacità ma anche per sperimentare la libertà di superare i loro “limiti”.

Anche la scuola potrebbe essere ripensata e riorganizzata a misura di bambino (tanti argomenti che si affrontano sono inutili all’età in cui vengono proposti).

Il futuro sono i bambini: è necessario migliorare l’educazione e le modalità dei genitori, della scuola, della società per far crescere i piccoli nel miglior modo possibile.

Ojito città

Che rapporto c’è tra circo tradizionale e circo contemporaneo?

Il circo contemporaneo nasce e si sviluppa dal circo tradizionale e questo va riconosciuto. Non si può essere contro il circo tradizionale perché tutto nasce da lì e tutti noi dobbiamo molto a quel modo di fare spettacolo (animali, freacks, pista rotonda etc..).

In Italia ci sono città come Bologna, per esempio, che incoraggiano molto la diffusione e la ricerca delle arti circensi appoggiandole con progetti e fondi e favorendone così la diffusione, altre città invece, al contrario, sembrano ostacolarle in ogni modo.

A differenza dei circhi tradizionali che si fermavano ai confini della città e costituivano un mondo chiuso che andava e veniva senza lasciare traccia, oggi molti circhi contemporanei invadono la città per promuovere progetti interculturali e di ricerca artistica e sociale come succede, per esempio, con El Grito o con il Forum Nuovi Circhi promosso da FNAS che intendono favorire l’incontro delle comunità di circo con la comunità residente e coinvolgere sempre di più il pubblico.

Come definiresti Equinolium, questa realtà che hai fondato qui, in Toscana, tra ulivi e querce centenarie?

Equinolium è un luogo dove arte e natura si fondono e stanno in sintonia. Un luogo appena nato aperto alla collaborazione con sognatori di ogni tipo purché animati da opinioni “diverse”. Un luogo di accoglienza, dove si può imparare l’arte e dove si può imparare a sintonizzarsi con le esigenze della natura. La natura va curata e la cura della natura è un’arte. Chi crede che la natura vada lasciata in pace, nella sua selvaticità ha ragione ma è anche vero che per ragioni di sopravvivenza si può anche dominare la natura: togliere erbe nocive per fare crescere le buone, tutto è un’arte.  Prendendoci cura della natura impariamo sempre di più e possiamo allenare il nostro corpo e il nostro spirito, accrescere la nostra energia, giocare. Tutto questo significa stare aperti alla diversità e riconoscerlo come un privilegio. Equinolium è aperto ad ogni tipo di proposta e di collaborazione. Abbiamo il cavallo, maestro di umiltà e di pazienza ma anche di naturalità e di libertà. Imparando a comunicare con il cavallo e apprendendo il suo “linguaggio” è possibile rendersi conto che è necessario lavorare costantemente con la propria presenza in un modo psicomotorio e ciò porta a migliorarsi sempre. Infine, a Equinolium produciamo olio, questo regalo che la natura ci offre quando è curata, olio che per noi è oro e tesoro.

Questo rapporto tra uomo e natura è un qualcosa su cui interrogarsi sempre: l’uomo è intervenuto ormai su quasi ogni processo naturale con progressi senza limiti. Tuttavia è necessario stabilire cosa togliere e cosa tenere di tutto questo, sperimentare nuove modalità di intervento più rispettose dell’ambiente e di chi lo popola. Vogliamo percorrere strade nuove, esplorare modalità, continuare a riflettere su come agire nei confronti dell’ambiente consapevoli che questo richiede forza e energia costanti. La famiglia, gli amici e l’amore ci rendono più forti aiutandoci a fare sempre del nostro meglio.

Ojito su cavallo

Film, fumetti e molto altro: Intervista a CARLA PAMPALUNA

Carla Pampaluna è un’artista molto originale che ama esprimersi attraverso vari canali come la fotografia e il video in primis ma anche attraverso fumetti e disegno.

Lombarda di nascita ma ormai da tempo toscana, si forma principalmente all’Accademia di Brera poi all’Università di Pavia per continuare con molti altri corsi in ambito cinematografico.  Il risultato è una personalità artistica sui generis che sembra stare stretta dietro alla macchina fotografica o alla telecamera cercando  altre vie per lasciare uscire messaggi urgenti e emozioni traboccanti.

Impegni in ambito sociale l’hanno portata a partecipare a festival internazionali riguardanti l’arte e la disabilitàAltri lavori importanti riguardano la formazione della prima infanzia e il tema dell’ecologia. Le tematiche relative all’identità di genere e all’istanza femminista sono anch’esse nodali nel suo lavoro.

Personale, (2020)
“Personale” (2020)

Oggi Carla, nelle sue risposte, lascia trasparire molte delle motivazioni profonde che alimentano il suo progetto artistico che ripercorre con noi dall’infanzia ad oggi.

In queste pagine del suo sito personale si può godere di un piccolo assaggio su questa personalità artistica, poliedrica e socialmente impegnata.

Un fotogramma dal videoclip "Jacopo" (2013)
Un fotogramma dal videoclip “Jacopo” (2013)

Chiara:  come si è  sviluppato il tuo talento nel tempo?

Carla: nella mia famiglia tra strumenti per disegnare, macchine fotografiche, libri, riviste d’arte e di fumetti e cineprese 8mm ho avuto fin da appena nata tutti gli stimoli possibili.

Sono stata sempre incentivata a seguire le mie inclinazioni.

Non mi sembra però di aver mai manifestato un vero talento per il disegno, anche se ho fatto poi un percorso di studi artistici.

Il vero talento, la passione, l’ho compreso intorno agli 11 anni vedendo, per caso, la prima trilogia western di Sergio Leone. Fu una vera folgorazione. Ricordo di aver pensato che quello era il sunto perfetto delle cose che mi piacevano ma che da sole sentivo non essere complete: il segno, la scrittura e la musica.

Scrissi subito le prime sceneggiature, con un istinto anche per la forma tecnica che ancora adesso mi stupisce.

Da quel momento l’immagine filmata, il racconto attraverso l’immagine, sono il mio percorso.

E anche se un po’ l’indole, un po’ le vicissitudini del vivere mi hanno rallentato, distratto, non ho mai smesso di seguire questa strada; e ormai da quasi vent’anni è il mio lavoro.

Tutto il resto nasce da questa passione: la fotografia e il fumetto ne sono una diretta conseguenza, anche se per il fumetto ho aspettato fino a quest’anno per riprendere le fila che avevo abbandonato da bambina.

Chiara: che tipo di bambina eri riguardo alle diverse forme d’arte?

Carla: molto curiosa. Sono sempre stata un’osservatrice silenziosa, lo sono anche adesso, e ho sempre voluto sperimentare tutto quello che vedevo fare intorno a me. La fiducia che mi veniva data nel permettermi di fare le cose che volevo senza paura di venire rimproverata nemmeno nello sbaglio, ha creato in me un forte senso di importanza in ogni cosa che facevo. Per tanto tempo questo è stato anche un freno. Un senso di autocontrollo eccessivo nella ricerca di risultati soddisfacenti, che però non superavano mai il mio severo giudizio.

Ci è voluto molto tempo per allentare questa morsa.

Roma. 2018
“Roma” (2018)

Chiara: quali attività pensi che possano aiutare maggiormente i bambini a esprimersi creativamente?

Carla: qualunque! Lo scorso anno ho girato un documentario in una sorta di asilo nel bosco, nel nord Italia, dove ho visto bambini entusiasti nel battere chiodi con il martello nelle assi di legno. E poi da lì passano a cercare un altro pezzo per poi comporlo con il primo, hanno intorno gli strumenti per incollare, tagliare, colorare e creano senza pregiudizio seguendo quello che hanno in testa. Basta lasciarli fare, senza intervenire.

E aggiungerei che è proprio facendo, costruendo senza condizioni esterne, “adulte”, che si può diventare grandi senza perdere la gioia delle cose da fare, del gioco anche nella costruzione “seria”.

Da adolescente mi ripetevo spesso che dovevo stare attenta a crescere senza diventare rassegnata, come mi sembrava fossero molti degli adulti che avevo intorno. Quell’idea mi ha accompagnata sempre, la sento ancora come necessaria. La creatività dei bambini è la stessa creatività dell’adulto che non si è dimenticato di essere prima di tutto un bambino che guarda per la prima volta le cose, che per la prima volta le prova.

Ancora adesso (ormai quasi cinquantenne!), non resisto alla tentazione di ritagliare e colorare i rotoli interni della carta igienica creando dei personaggi che vanno ad ingrandire la schiera che mi porto dietro da quando ero ragazzina! Lo faccio con la stessa idea di gioco che mi ha guidato nel realizzare i primi modelli. Questo non vuol dire che non ci debba essere uno studio, una scelta, una ricerca. Ma che questa parte razionale deriva da un istinto proprio che non va dimenticato.

"Sentieri" a Zambra, Pi (2013)
“Sentieri” a Zambra, Pi (2013)

Chiara: come sei arrivata al fumetto?

Carla: a parte il percorso naturale per chi come me vive del racconto per immagini, e il fatto che leggo tanti fumetti perché mi piacciono (ci sono stati e ci sono autori straordinari, veri artisti, che raccontano storie utilizzando il fumetto), avevo in realtà abbandonato le poche tavole fatte da ragazzina. Nell’ultimo anno, complice anche la pandemia e le sue limitazioni, mi sono ritrovata ad aver voglia di ricominciare a prendere in mano la matita.

Finora il disegno era stato relegato allo strettamente personale, intimo (ho cartelle piene di autoritratti, storyboard per film mai girati…), ma c’erano storie che avevo voglia di raccontare e che mi sembrava non fossero adatte alla grammatica del cortometraggio. E poi in casa c’è il mio compagno che disegna benissimo e capita che collaboriamo (abbiamo firmato insieme la regia di due cortometraggi). Abbiamo scritto una prima storia insieme, e avrebbe dovuto disegnarla lui, ma siccome tergiversava ho deciso di buttarmi e da lì non sono più riuscita a fermarmi… anche se lo utilizzo più come una scusa per il racconto, piuttosto che per il disegno in se, che rimane sempre un po’ subordinato alla trama e in cui manca ancora una ricerca strutturata.

Pagina iniziale fumetto "La vita misera"
Pagina iniziale fumetto “La vita misera” (2020)

Chiara: il tema del femminile è ricorrente nel tuo lavoro

Carla: sono stata cresciuta in un ambiente in cui non c’erano differenze tra maschio o femmina. Almeno non espressamente dette. Nessuno in casa si è mai sognato di dirmi che non potevo fare una cosa perché ero una bambina o una bambina femmina.

Però poi esci in cortile a giocare e il gruppo dei maschi non ti vuole nelle gare in bicicletta mentre a scuola le bambine giocano con le pentoline e vengono spesso condizionate a seguire certi modelli. Ho sempre fatto una gran fatica a capire certi meccanismi. E mi sono sempre opposta ad accettarli.

Bocca d'Arno (2010)
Bocca d’Arno (2010)

E’ ovvio che poi ti fai delle domande, rifletti. Per me è un punto nodale, insieme a quello della memoria di sé e del proprio percorso.

Essere donna è una caratteristica che mi qualifica ma prima di tutto sono un essere umano. Mi sembra molto più sano rapportarsi agli altri in questi termini, prima di altri. Anche perché le cose che sono importanti per ogni individuo sono diverse.

Se la società che abbiamo intorno non ci imponesse degli stereotipi quale sarebbe l’importanza, rispetto al proprio fare, alle proprie aspirazioni, dell’essere donna o uomo?

Teastro di Bartolo, Buti, 2012
Teatro di Bartolo, Buti, Pi (2012)

Chiara: credi che ci siano più difficoltà  rispetto al passato nell’essere donna?

Carla: i problemi e le difficoltà per una donna nata anche solo un secolo fa erano certamente più materiali; trappole e strade segnate da cui uscire era difficile e doloroso.

Indubbiamente  oggi, inteso come ventunesimo secolo e in questa parte di mondo, è possibile essere donne più libere e più indipendenti; ed è possibile esserlo senza che questo diventi un problema. Ciò è possibile perché ci sono state delle lotte forti, delle prese di posizione, perché ci sono stati degli scontri e delle vittime. Che hanno portato a cambi di costume essenziali.

I condizionamenti e i pregiudizi con cui ancora cresciamo, donne e uomini, ci obbligano ad occuparci di quello che, invece, è in effetti ancora un problema: è ancora difficile essere donna, anche in questa epoca, anche in questa parte di mondo. E ci si ritrova a sprecare un sacco di tempo a combattere stereotipi e violenze. Nel senso che quel tempo sarebbe bello poterlo usare per fare altro.

Fotogrammo cortome
Un fotogramma dal cortometraggio “Sassi nel mare” (2003)

Chiara: i traguardi della tecnologia aiutano certe forme d’arte come la fotografia o i video?

Carla: dipende dal tipo di percorso che si è scelto.

Per me sono stati fondamentali. Anche se indubbiamente mi ha fatto un gran bene crescere con il rigore che imponeva la pellicola nella fotografia per esempio, senza la possibilità di lavorare in modo professionale con i mezzi digitali oggi sarei ancora molto indietro. Sarei in balia della mia pigrizia e della mia timidezza. E non avrei assolutamente i mezzi economici per fare quello che faccio.

Un fotogramma dal cortometraggio guerriglia (2019)
Un fotogramma dal cortometraggio “Guerriglia” (2019)

Chiara: quali sono i tuoi progetti futuri?

Carla: ho scritto la sceneggiatura di un cortometraggio che non vedo l’ora di girare, disastri mondiali permettendo…!

E poi ovviamente ho ancora alcune storie a fumetti in programma. Mi sto spostando sul fronte dei sogni, altro tema che mi accompagna da sempre.

Sono impaziente anche di poter ricominciare a fare fotografie in mezzo alla gente. I paesaggi dalle finestre di casa sono bellissimi ma credo di averne abbastanza per ora!

Immagine di Simone Buono
Carla Pampaluna  (immagine di Simone Buono)

 

Vicini e umani: immagini e altre storie, in dialogo con Massimo Nicolaci

 

La Cerva Bianca
La Cerva Bianca

Massimo Nicolaci è un artista catanese di grande talento che dopo aver vissuto a Roma e in molti altri luoghi ha ora scelto di risiedere a Berlino.

In seguito a una formazione di rilievo con artisti che hanno segnato la storia della fotografia Nicolaci ha iniziato a mostrare la sua personalità curiosa ed errante in grado di trovare un nuovo poetico realismo da offrire allo spettatore. Dalle opere di Nicolaci trapela tangibile il suo percorso culturale ricco e caratterizzato da una grande apertura alla pluralità delle esperienze.

Ha conseguito numerosi riconoscimenti per i suoi lavori e ha collaborato con prestigiose riviste internazionali come National Geographic o Rolling Stones. Nel corso della sua carriera ha lavorato sul set di “I tempi felici verranno presto” di Alessandro Comodin e pubblicato un libro “La Cerva Bianca”.

La fotografia riesce a creare punti di vista nuovi su ciò che è ordinario allentando la trama del reale. Siamo abituati a sguardi frettolosi, a stupirci solo del sensazionale ma questa forma d’arte invita a soffermarsi, a giocare con l’osservazione.

A tutti gli effetti si tratta di un’arte filosofica perché desta stupore attraendo l’attenzione su qualcosa che sfugge e passa via.

Certo non si tratta di copiare la realtà tout court ma si tratta di offrire visioni alternative, punti di vista a volte anche distanti dal reale comunemente inteso. La fotografia è in grado di decentrare e offrire spunti di critica culturale riguardo a ciò che siamo o pensiamo di essere.

In questo particolare momento storico dove è necessario reinventarsi e scoprire prospettive nuove da percorrere quest’arte ci è particolarmente cara.

Nei lavori di Massimo Nicolaci non è la scelta del soggetto straordinario a conferire fascino e narratività ai suoi lavori, ad esserlo è, invece, il modo di fotografare.

Scatti che lasciano affiorare racconti e che con delicatezza creano contesti dove la realtà si confida facendosi talvolta onirica.

Che si tratti di una stazione di notte, Ground Floor, di un lavoro sul set cinematografico o dei ritratti, il carattere dell’artista si contraddistingue in modo originale per un frame sempre ben riconoscibile.

Il fotografo sembra dissolversi per dare vita a inquadrature che tolgono il non necessario e lasciano affiorare immagini che vogliono essere svelate.

Non c’è nulla di artefatto o di fittizio, nulla di costruito ad hoc per ammaliare bensì la ricercata capacità di svelare e offrire.

Sicily

La personalità dell’artista si mostra in particolare nei ritratti dove il protagonista indiscusso della composizione è lo sguardo che appare confidente e intimo, prossimo a chi guarda nella semplicità di un incontro umano.

La carnale interiorità di esseri umani che non sono lì per raccontare e farsi protagonisti ma per concedersi all’ incontro profondo con chi li guarda.

Tutto sta nella magia di quell’ incontro. Incontro non finalizzato a dire o ad indicare ma fine a sé stesso, preziosamente intimo e per questo anche in grado di andare ben oltre quell’immagine.

La possibilità di rispecchiarsi è ciò che conferisce a chi guarda un’ulteriore possibilità di incontro, questa volta con sé stessi:

 

«Quando guardi bene qualcuno negli occhi, sei costretto a vedere te stesso.»

Tahar Ben Jelloun

 Come è nato il suo talento artistico?

La mia relazione con la fotografia è iniziata quando avevo 14 anni nel paesino dove sono cresciuto in Sicilia, a Caltagirone.

La fotografia non mi interessava più di tanto, cercavo un lavoretto estivo e lavorare con un fotografo di matrimoni mi sembrò un’ottima opportunità.

Nel 2006 l’incontro con Lorenzo Castore ha segnato una svolta nella mia vita, grazie a lui ho scoperto un tipo di fotografia diversa dall’ordinario, più personale e libera.

Da qui inizia il mio vero interesse per la fotografia e l’arte.  Utilizzare la fotografia come mezzo di espressione, di ricerca e di crescita fu  la scusa e il pretesto per uscire dalla mia isola e vivere una vita che non avevo immaginato prima.

Sicily

Quali sono stati i fotografi che l’hanno ispirata di più nel suo percorso?

Nella mia formazione sono stati fondamentali fotografi come Lorenzo Castore e Michael Ackerman che sono stati i precursori del mio percorso fotografico. Della loro fotografia mi ha colpito principalmente la libertà che mi comunica e che si sente fortemente nelle loro immagini. Non per questo non mi sono sentito attratto da altri tipi di fotografia, più classici e che hanno fatto la storia del racconto per immagini come Robert Capa, Anders Petersen o Stanley Green. Ultimamente ho avuto l’occasione di lavorare con un fotografo che mi ha molto aiutato nel mio percorso,  un maestro della luce: Paolo Verzone. Ovviamente non mi lascio ispirare solo da fotografi ma dalle arti visive in generale,  i dipinti di Caravaggio e Francis Bacon come anche la scultura di Giacometti sono basi fondamentali per capire la potenza delle immagini nel mondo dell’arte.

I Carusi
 I ritratti sono la forma espressiva che preferisce?

Mi piace molto lavorare con il ritratto. Fare un ritratto non è semplicemente la foto di un volto è l’incontro, la condivisione, una relazione che avviene tra due o più persone, è  la possibilità di entrare nella vita di qualcuno condividendo la tua esperienza con quella del soggetto fotografato. E’ un reale scambio.

New York

Cosa racconta un ritratto per essere riuscito?

Un ritratto, dal mio punto di vista, racconta l’esperienza e il momento di condivisione avvenuto durante il momento della scatto stesso.

Se la fotografia ti porta oltre il volto o la persona in se il ritratto è riuscito.

Credo sia importante arrivare almeno vicino a un ritratto riuscito, non imparare a fare sempre buoni ritratti bensì allenare un modo per riuscire a farne di buoni.

I Carusi

 I suoi lavori raccontano spesso di un altrove: geografico, psicologico, temporale. Si tratta di curiosità o è un modo per decentrarsi?

Credo che la fotografia abbia bisogno di una spazio fisico, geografico e mentale fuori dall’ordinario.

La curiosità sicuramente è fondamentale in questo processo, il senso di decentramento anche, come credo che una buona fotografia non sia importante quanto il processo e l’esperienza che c’è dietro di essa.

Ground Floor
La sua esperienza sul set per “I tempi felici verranno presto” di Alessandro Comodin ha offerto ispirazioni diverse al suo modo di lavorare?

Ho lavorato a stretto contatto con Alessandro per due anni prima della realizzazione del suo ultimo film “i tempi felici verranno presto”.

Lavorare con un regista e con uno staff mi ha molto colpito perchè a differenza della fotografia il cinema è un lavoro di squadra.

Circondarsi di persone, professionisti e non, credo sia molto importante, è un arricchimento, un nutrimento, questa è la principale ispirazione da quella esperienza.

La Cerva Bianca
La società di oggi è in continua trasformazione: la fotografia deve porsi nuovi scopi per essere ancora una forma espressiva interessante?

Questa è una domanda molto difficile, non credo ci sia una risposta univoca.

Dal mio punto di vista, e non soltanto a livello fotografico, credo che la società di oggi si è molto arricchita e velocizzata. E’ una grande possibilità essere collegati con tutto il mondo, la rete e i social sono il nostro presente. La professione del fotografo si sta un pò perdendo ma ed è comprensibile nella nostra evoluzione.

Ma in questa evoluzione ci siamo persi dei pezzi, abbiamo chiuso gli occhi su alcune cose. Spero che la fotografia, come il cinema e le altri visive, possano andare a una velocità completamente opposta dal reale, tornare a essere più artigianali, più poetici, più curati perchè c’è bisogno di questo, io ho bisogno di questo e cerco di farlo nel mio piccolo.

Nessuno è solo
I bambini nella loro esperienza scolastica primaria e secondaria difficilmente sono iniziati o educati alla fotografia: pensa che questo sia un vuoto da colmare in campo formativo?

Questo credo sia un punto molto importante e interessante.

Non mi focalizzerei soltanto alla fotografia, credo che la scuola primaria e secondaria ha un ruolo chiave nella società moderna, in riferimento anche alla domanda precedente.

Sarebbe molto bello, e fondamentale per me, sviluppare la creatività di tutti i bambini, utilizzare le fotografia, il cinema e la pittura.

Sarebbe interessante tornare a sporcarsi le mani, divertirsi e farlo iniziando con i bambini.

Sicily
Chiara Gasperini

Teatri rotondi e delicate ispirazioni: intervista a DARIA PALOTTI

 

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Era il 2001, fuori un gran freddo di quello che toglie il respiro, era sera, una pizzeria ancora  aperta, tutti i tavoli già occupati.. Ero sola e mi sedetti, per caso, vicino a una ragazza vestita di tanti colori.  Aveva gli occhi profondi e lo sguardo che sapeva d’ispirazioni nuove…anche lei era sola con la sua pizza. Aveva un orecchino dalla forma davvero molto particolare.. Non esitai un istante a chiederle dove lo avesse trovato.

Era gentile e mi raccontò del suo orecchino e della sua passione per l’arte, della sua voglia di fare e creare esprimendosi in tanti modi diversi e soprattutto mi parlò del suo grande amore, il teatro rotondo: il circo.

Mi disse solo di chiamarsi Daria e qualche anno dopo, quando trovandomi davanti a manifesti e illustrazioni originali e accattivanti per il soggetto, lo stile e i colori, venni a sapere che l’artista che li aveva creati era Daria Palotti, la mia mente tornò subito, con la memoria, alla ragazza della pizzeria.  Ero sicura che fosse lei e non mi sbagliavo.

Da quel giorno lontano, ormai quasi venti anni fa, non l’ho più rivista, ma oggi, sono molto felice di presentarla su Disegnostorie.

Questa breve intervista tratta solo parzialmente la poliedricità di Daria Palotti che attraverso diverse forme espressive ha creato uno stile dinamico e fresco fatto di figure prevalentemente femminili che provengono dal circo.

Le sue opere sono abitate da acrobate, ballerine, equilibriste, clown, ma anche da giovani ragazze che si confondono con piante o talvolta con nuvole, al punto di perdervi i confini per diventare un tutt’uno con questi elementi naturali.

Creazioni che narrano di sirene, unicorni, renne e altre figure fantastiche appartenenti a un mondo onirico che viene a trovare lo spettatore e lo seduce lasciandolo sognante, si, ma anche toccato da un leggero velo di inspiegabile malinconia che scaturisce dagli sguardi dei personaggi di Daria o forse dal colore e dalle linee.

A volte le opere di questa artista raccontano un divenire, un “umano germinare” che trasforma chi crea poiché l’uomo è cambiato dal suo stesso esprimersi e creare. Ciò che l’uomo crea cambia, sostanzialmente, prima lo stesso creatore e solo in un secondo momento anche l’ambiente circostante.

I nostri volti a ben vedere, celano forme che sono “meraviglie”, dietro un apparente normalità somatica possono nascondersi inaspettate soprese che portano alla luce una dimensione interiore mostrificante e sopita.

Se è vero che il mezzo è il messaggio, i soggetti di Daria cambiano molto a seconda che l’artista li stia scolpendo nella creta, dipingendo a tempera o con acquarelli: se le sculture a volte sono inquietanti, gli acquarelli e le ceramiche di Daria, invece, offrono allo spettatore figure delicate e leggiadre, innamorate, e se a volte sembrano piangere questa è un’illusione perché si tratta solo di fresca pioggia.

Illustratrice di svariati libri per bambini, dà vita a personaggi e ambienti in grado di liberare e accendere la fantasia dei piccoli lettori che ne ricevono uno stimolo a immaginare, sognare, ispirarsi.

Daria Palotti è un’artista attiva in diversi ambiti e il suo sito può indicare come seguirne le svariate attività, le mostre, i laboratori. Quanto alle attività formative, tiene laboratori creativi per bambini e adulti in provincia di Pisa e in molti altri luoghi.

Le diverse attività e la sua trasformazione nel tempo lasciano intravedere una personalità artistica non legata a schemi o a forme predefinite ma animata da una giocosità contagiosa e entusiasta in grado di stupire e coinvolgere nella voglia di trovare sempre nuove ispirazioni.

https://it-it.facebook.com/dariapalottipage/

http://www.dariapalotti.it/

Come nasce Daria artista?

Nasce con l’esempio, con lo studio, con la sensibilità e con la voglia di creare . Difficile è mantenere viva l’artisticità, la curiosità e la voglia di scoprire e di scoprirsi.

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Sei solita esprimerti attraverso diverse forme espressive: come scegli con cosa creare di volta in volta?

..Di volta in volta seguo  la voglia o l’esigenza, dipende dal progetto e dall’idea che devo o che voglio sviluppare… O l’umore… ma se è inverno nel mio studio è troppo freddo per la creta.. Certe volte è anche un modo per rinnovare l’ispirazione, mettersi a studiare nuovi modi per esprimersi.

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L’illustrazione dei libri per bambini è una delle tue attività. Cosa deve offrire una buona illustrazione, al piccolo lettore?

Un mondo immaginifico e fantasioso  che alimenti e dia lo spazio all’immaginazione del piccolo lettore, che stimolato creerà a sua volta mondi alternativi.

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Come pensi che possa essere accompagnata e incoraggiata la creatività dei bambini?

Mettendo a disposizione gli strumenti e uno spazio protetto dove poter esprimere liberamente la creatività…Incoraggiata, seguita, giocata e non giudicata.

Credi che ci siano attività che invece minacciano la creatività infantile?

Credo di no…tutte le attività manuali anche le più rigide e noiose non ce la fanno a spegnere la creatività dei bambini.. magari non l’alimentano..ma per fortuna i bimbi riescono ad essere creativi naturalmente. Più difficile è conservarla e alimentarla una volta  adulti.

La natura è molto presente nelle tue opere, vuoi rappresentarla o indicarla a chi non sa vederne l’aspetto più poetico?

In generale non voglio indicare niente… La rappresentazione della natura e le sue commistioni con l’essere umano è una cosa che mi interessa e mi piace rappresentare.

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Cosa hai apprezzato di più nel tuo cammino scolastico e accademico?

Le persone, i professori e gli amici che ho incontrato e conosciuto. In generale l’aria che si respirava al liceo artistico ed all’Accademia… Luoghi, artistici, aperti  e sensibili. Felice di essere cresciuta in contesti così belli.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Crederci di più!

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Siamo suono, tra musica e biologia, incanti di bellezza: intervista a EMILIANO TOSO

Emiliano Toso in concerto a Barolo
Emiliano Toso in concerto a Barolo

Dottore di ricerca in biologia, musicista e compositore, Emiliano Toso è un artista unico nel panorama musicale contemporaneo per il suo talento, la peculiarità del suo percorso formativo e la costante apertura alla ricerca, non solo musicale.

Unire il punto di vista scientifico di biologo alla sensibilità e al talento musicale crea un mix esplosivo di cui è impossibile non restare totalmente affascinati e toccati nel profondo sia nel corpo che nella mente. Gli eventi di cui è protagonista si trasformano in occasioni uniche di scoperta, crescita e condivisione grazie alla sua naturale capacità di risvegliare la  dimensione più profondamente umana in chi lo ascolta.

Se qualche anno fa, qualcuno cantava “non insegnate ai bambini, ma se proprio volete, insegnate soltanto la magia della vita” Toso fa proprio questo, poiché ogni suo concerto desta stupore e meraviglia, apre la mente alla gioia di essere parte di questa danza misteriosa che è la vita.

Proporre musica ai bambini è molto importante per la loro formazione e per lo sviluppo di una sensibilità artistica. Il modo per farlo e la scelta dei brani non deve essere improvvisata proprio perché il suo effetto è molto profondo sia dal punto di vista fisico che psicologico e la sensibilità musicale si forma a partire dagli stimoli che l’ambiente offre nei primi anni di vita. La musica può agitare o al contrario risvegliare in noi intense sensazioni di benessere, può assopire o al contrario risvegliare creatività e curiosità.

La musica che ascoltiamo comunemente è composta intorno a un LA accordato a 440 Hz così come indicò, nel 1939, un alto gerarca nazista, il noto Goebbels.  Dietro alle ragioni di questa scelta molto si è discusso e il dibattito ancora non è sopito, anzi è più vivo che mai.

Un’altra musica è possibile ed è quella che risuona intorno a un LA accordato a 432Hz.

Ascoltando questo tipo di composizioni si fa un’esperienza musicale molto diversa, estremamente rilassante e armonica. Molta letteratura ormai mette in rilievo gli effetti di benessere e cura di questo tipo di musica.

Emiliano Toso ha deciso di suonare e comporre solo musica accordata a 432 Hz su strumenti acustici.

Ma si sa, in tutte le cose, più che leggere è necessario farne esperienza e questo è vero soprattutto in questo caso perché la musica di Emiliano Toso va ascoltata per sentirne direttamente gli effetti e apprezzarne la delicata e raffinata bellezza adatta a tutti, adulti e bambini.

Tanti gli studi che mettono in luce le caratteristiche della musica accordata a 432 Hz, rilevandone la capacità di indurre profondo benessere e di risvegliare l’autoguarigione o ridurre l’ansia nei più svariati ambiti,  ma quello che più conta, aldilà di studi o ricerche, è provare ad ascoltarla per capire che effetti ha.

Non perdetevi visite ripetute al sito di Emiliano Toso dove troverete materiali interessantissimi riguardo alla sua attività, ai progetti di cui leggerete nell’intervista e alla sua musica ma soprattutto dove potrete avere i suoi cd.

Fortunatamente viene spesso in toscana e il prossimo ottobre sarà a Capannori, Lucca, al centro Artè per una conferenza con il Dott. Franco Berrino  e a Marzo con la Prof.ssa Daniela Lucangeliuna straordinaria opportunità per  conoscere dal vivo due tra le persone più capaci di smuovere cambiamenti positivi nel nostro panorama intellettuale.

Le prossime date in cui l’artista si esibirà sono Roma 6 settembre, Bergamo 13 settembre, Torino 29 settembre.

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1 Chiara Gasperini: come sei arrivato a capire le qualità della musica con accordatura a 432Hz?

Emiliano Toso: ho sempre fatto le più grandi scelte della mia vita con il cuore e intuitivamente. Proprio qui dove sono adesso, vicino al pianoforte, in questo caso, è stato un signore toscano, Fabio Bottaini, a suggerirmi di provare a accordare il mio pianoforte a 432Hz.

Tentai subito di convincere l’accordatore della mia zona ma lui non voleva saperne. Il cambio di accordatura, infatti, comporta tre giorni di lavoro, ma dopo avergli inviato un po’ di letteratura sull’argomento, incuriosito, lo accordò. Ho ancora adesso un po’ la pelle d’oca a pensarci.

Mi sedetti qui e sentii che il pianoforte si era come umanizzato, era una sensazione del tutto nuova, mai provata. Decisi in quel momento che non avrei più accordato diversamente il mio pianoforte perché lo sentivo più caldo, più morbido, come fosse tornato a casa, nella mia casa e da quel momento io potevo esprimermi attraverso di lui in modo più coerente.

Dopo si è risvegliata anche la mia parte più scientifica così sono andato a cercare notizie su quel tipo di frequenze. Non esistono pubblicazioni  sulle più  grandi riviste del mondo che dimostrino che, inequivocabilmente, questa accordatura sia più in linea con le nostra frequenze ma ci sono prove che accordando il LA centrale a 432 Hz,  di conseguenza, si accordano in modo diverso tutti gli altri tasti e si creano degli  armonici che sono più coerenti con le frequenze della natura e di tutte le nostre cellule come pure della terra che è uno strumento musicale in quanto anch’essa risuona.

Si capisce perciò come mai suonando in quel modo si entra meglio in comunicazione con il nostro cervello e col nostro corpo e con la nostra natura più profonda

Emiliano Toso al pianoforte
Emiliano Toso al pianoforte

2 Chiara Gasperini: secondo i tuoi studi, quanto è importante la musica per il benessere cellulare organico e conseguentemente per quello psicologico?

Emiliano Toso: nel corso dei miei studi non avevo mai incontrato un capitolo del tipo “musica e cellule” o “musica e biologia” così avevo perso l’idea che le mie passioni più grandi potessero essere unite.

Da cinque anni fa in poi, con il mio cambiamento di vita, ho potuto approfondire che ci sono molti studi rigorosi a dimostrazione di come la musica che ascoltiamo influisca sulla biochimica del corpo attraverso il cervello. Al cervello, infatti, arrivano stimoli che cambiano la biochimica del corpo.

Questo implica l’aumento di ormoni come ossitocina e dopamina. Ci sono bellissimi articoli su riviste come Nature, per esempio, su come cambia la biochimica del corpo nel momento in cui ascoltiamo musica con certe caratteristiche.

Aldilà di tutto questo ci sono state due importanti rivoluzioni in ambito biologico: la prima, riguardante l’epigenetica ha mostrato che non siamo più vittime del DNA, quel libretto d’istruzioni donatoci durante il concepimento e che si pensava avrebbe tracciato la nostra vita, inevitabilmente.

Abbiamo capito che ricevendo costantemente stimoli dall’ambiente influiamo sulle nostre cellule ricreando il nostro corpo, giorno dopo giorno, fino alla fine.

La seconda rivoluzione mostra che tutti questi stimoli non sono solo misurabili dal punto di vista chimico ma anche fisico.

Toccando questo punto entriamo nell’ambito della fisica quantistica che mostra che ogni suono ha un effetto anche biologico: è una informazione che provoca cambiamento perché influisce sull’acqua presente nelle cellule (composte all’ottanta per cento di acqua).

Il suono è un segnale misurabile che può cambiare il modo in cui leggiamo il nostro libretto di istruzioni.

Masaru Emoto  ci ha regalato la prima suggestione che rese visibile il suono attraverso l’acqua.

Oggi possiamo contare anche su studi ancora più approfonditi nell’università italiana, per esempio quelli del Prof. Carlo Ventura, una persona straordinaria che si emoziona durante le sue presentazioni.

Il Prof. Ventura è riuscito a dimostrare che non solo le cellule rispondono al suono differenziandosi ma lo fanno in modo diverso a seconda dello stimolo sonoro che ricevono così che una cellula embrionale diventa, per esempio, cellula del cuore. Al momento si sta interessando a come le cellule malate come quelle tumorali rispondano a certi suoni tornando a uno stadio indifferenziato. Si tratta di promuovere il nostro intrinseco potenziale di autoguarigione

Il nostro corpo è alla continua ricerca di armonia e equilibrio.

Insomma, in sintesi, si è capito che esiste una tavolozza di colori e segnali che si crea con le nostre emozioni attraverso la nostra percezione di quello che viviamo e degli ambienti in cui siamo inseriti e la nostra parte biologica risponde a questi stimoli continui in un modo molto articolato.

Ma ciò che è più importante è che in tutta questa tavolozza c’è anche l’arte.

Mi resi conto nel mio lavoro di biologo che arte e emozioni, invece, non entravano in laboratorio ma restavano fuori dalla ricerca.

Oggi per fortuna sappiamo che le emozioni sono parte imprescindibile di quella che è la nostra salute e la nostra natura e l’uomo ha un grande bisogno di lavorare proprio su tutto questo anche dal punto di vista formativo. Sto portando avanti queste ricerche anche con l’aiuto della Prof.ssa Daniela Lucangeli.

L’arte anche viene oggi inserita nei protocolli degli ospedali o di altri luoghi di cura e tra le arti la musica sollecita tutte le parti del nostro cervello attraverso ritmo, parole, melodie, ricordo.

Dal punto di vista filogenetico, l’uomo in ogni luogo o era ha sempre prodotto musica, soprattutto nei momenti cruciali e più difficili i della vita, come nascita, morte, bisogno di guarigione.

Questo dimostra che la musica è un ponte verso qualcosa che ancora non possiamo misurare ma sappiamo solo che ne abbiamo bisogno.

C’è sempre stato questo bisogno profondo dell’uomo, la nostra comunità di cellule ha bisogno di quello…è un ponte che piano piano si dissolve perché ci avviciniamo sempre più. Se c’è sempre stato vuol dire che l’uomo ne ha bisogno. Anche le tribù più lontane dalla scienza sanno che serve la musica in tutte le sue dimensioni, come canto, come percussione di tamburi e molto altro.

All’uomo serve arrivare in questa dimensione del suono.

Gratitudine a fine brano
Gratitudine a fine brano

3 Chiara Gasperini: l’universo produce un suono di fondo? Siamo immersi in un suono primordiale? E questo suono cosmico sta cambiando visto che siamo poco rispettosi verso il pianeta?

Emiliano Toso: vorrei risponderti suonando. Il suono primordiale della terra, la risonanza di Schumann è di circa 8 Hz e corrisponde a un DO che non possiamo sentire perché è al di fuori del nostro udito umano ma è un DO che risuona con tutti gli altri DO di un pianoforte o altro strumento accordato con il LA a 432 Hz.

Penso che anche la Terra, in quanto essere vivente, anche lei in continua trasformazione, con tante cellule (noi siamo una parte delle cellule della terra e ci rinnoviamo nascendo  e morendo ogni giorno) cerchi di compensare gli stimoli forti che le arrivano e dei quali noi siamo la causa sia dal punto di vista sonoro che biochimico.

Come facciamo noi davanti a una malattia cercando di ricostruire i nostri equilibri biochimici e biofisici così fa la terra in questo momento. Credo che vada aiutata in questa fase e non è detto che del nuovo equilibrio che raggiungerà faranno di nuovo parte le cellule precedenti. C’è chi parla dell’estinzione dei pesci nei prossimi trent’anni ma potrebbero anche sparire le cellule esseri umani.

La nostra percezione è infinitesimale, se ne accorgono per esempio gli astronauti quando … una volta tornati dallo spazio si trovavano in uno stato di overview effect, o effetto della veduta d’insieme, raggiunto dopo la visione del pianeta, così piccolo, da lontano.

Si tratta di una consapevolezza nuova, uno stato di benessere, dato dal fatto che vedere la condizione umana da così lontano, fa sentire protetti, avvolti dentro braccia così grandi, parte di un tutto che protegge e unisce. Ma il nostro piccolo punto di vista è infinitesimale e non ci consente di capire tutto ma forse ci limitiamo a un cinque per cento, nell’ambito dell’udito, per esempio, possiamo sentire solo alcune frequenze o se ci volgiamo a osservare il passato, quanto lontano possiamo arrivare?

Poche migliaia di anni, forse. Tutti si sta evolvendo e se guardiamo gli altri pianeti e la profondità del tempo possiamo intuire quanto è grande e profonda questa intelligenza che guida tutto. Lì è tutto a posto, siamo noi, invece, a dover ampliare la nostra prospettiva per capire un pochino di più.

Growin-up
Growin-up

4 Chiara Gasperini: credi che ci siano conseguenze al fatto che i bambini oggi come oggi sono sempre più esposti a ambienti rumorosi dove imperano suoni sgraziati?

Emiliano Toso: non credo ci sia necessità di proteggere i bambini da determinati tipi di suoni perché potrebbe succedere qualcosa.

Io credo che ci sia necessità di un maggior rispetto del valore del suono e della musica e come in tutti gli altri settori, per esempio lettura o cibo, ci sia bisogno di dare valore.

Da tanti punti di vista oggi possiamo fare grandi abbuffate in ogni momento, con internet, col cibo, con la musica, possiamo ascoltare tutto velocemente senza dare valore a quel suono, a quel brano a ciò che stiamo facendo.

C’è bisogno di dare valore al brano o al silenzio degli alberi, in modo che da grande, il bambino possa capire il valore speciale di ogni cosa.

In passato, per avere un disco, si dovevano mettere da parte i soldi a lungo e poi, una volta preso, era quasi un rituale ascoltarlo tutto.

Già nella pancia, quando il bambino ancora non è nato, gli si può insegnare la scelta e il rispetto del valore che viene dato in quel momento a quel nutrimento, suono, esperienza, o altro che sia.

La mia formazione, dal punto di vista filogenetico biologico, mi insegna che spesso bisogna spegnere la mente se è rimasta confinata a certi spaventi, a certe paure, indotte magari da un telegiornale e poi trasmesse ai nostri figli.

Se trasmettiamo paura trasmettiamo separazione, diamo luogo a una reazione biochimica di fuga e chiusura che trasmettiamo ai figli o la propaghiamo intorno a noi. Pensiamo a un’ ape, può spaventare, farci fuggire, ma se invece la osserviamo al microscopio ci rendiamo conto di quanto sia bella.

Allora si crea apertura e unione e il nostro corpo, a livello cellulare respirerà diversamente rigenerando ogni organo in modo diverso e creando benessere in tutto il corpo.

Quante energie si perdono a causa delle nostre prospettive di paura e di divisione propagate a più non posso in questo particolare momento storico. I bambini hanno bisogno, invece, di imparare la bellezza, l’unione, l’apertura.

Emiliano Toso in concerto a Montichiari
Emiliano Toso in concerto a Montichiari

5 Chiara Gasperini: come dovrebbe essere proposta la musica ai bambini?

Emiliano Toso: i bambini come ogni altra creatura sono musica. Il Prof. Ventura mostra anche la musica che deriva dalle cellule, poiché ogni cellula ha un tipo di suono. La cellula sana o quella malata suonano diversamente. Così ogni creatura ha già un suono e nella vita entra in risonanza con altri suoni. I bambini, già nella pancia della mamma sentono la musica ed è interessante poi vedere, una volta nati, come si relazionano con la musica che sentivano durante la gestazione. Tanti bambini nati in sala parto con la mia musica poi vengono ai miei concerti e si mettono ad ascoltarmi sotto al pianoforte, mentre suono.

Io sono entrato in diverse scuole e l’unico consiglio che posso dare è di non fare laboratori musicali con bambini e adulti insieme, contemporaneamente. Ho sperimentato che è meglio lasciare i bambini da soli, e lasciare loro i colori per rappresentare i suoni traducendoli in disegni. I bambini sono tutti diversi ed è bene riuscire a rispettarne le differenze nei diversi periodi di sviluppo e le caratteristiche specifiche di ciascun bambino: non ci sarà mai una musica adatta a ogni tipo di bambino.

So che il Maestro Giuseppe Vessicchio offre l’ascolto di Mozart per i bambini, sostenendo che la musica di Mozart abbia una struttura cellulare perfetta capace di speciali effetti sia su uomini, bambini o animali. Mozart non aveva studiato tutto ciò in modo mentale ma credo riuscisse a creare così grazie all’intuito che generava una struttura aurea nelle sue composizioni. Io non studio la struttura della mia musica ma è importante che mi esprimo nel linguaggio di 432 Hz. Si tratta del linguaggio del corpo ma soprattutto è importante l’intenzione che metto nel suono. L’intenzione genera una forma, un colore particolare che arriva in modo diverso ai destinatari. Forse un giorno anche l’intenzione verrà misurata.

6 Chiara Gasperini: quali sono i progetti che in questo momento ti appassionano di più?

Emiliano Toso: un progetto che mi emoziona tantissimo è Operatori del benessere translational music: 

Si tratta di riunire persone provenienti da tutta l’Italia in residenziali di tre giorni, una, due volte l’anno. Persone che usano la mia musica in ambiti diversi per il loro lavoro, sono maestri yoga, medici, artisti, insegnanti, infermieri, massaggiatori e altro.

Trovo molto bello vedere come tutti siano uniti da questo sottilissimo filo conduttore e si possano condividere modi così stranamente diversi parlando delle nostre esperienze. Vedere, dalla mia prospettiva aerea come si uniscano in un unico grande organismo quando si integrano e si mettono in comune esperienze così diverse. I residenziali sono strutturati in una parte scientifica, una esperienziale e una di condivisione.

L’altro progetto è quello degli spartiti: già condividere la mia musica, una parte molto intima di me, è qualcosa di profondo e importante per me, poi, in molti mi hanno chiesto di avere i miei spartiti.  Inizialmente ho detto no. Poi, mesi fa, è capitato che nello stesso periodo me li richiedessero persone diverse da parti del mondo lontane tra loro, come il Canada e la Spagna. È stato allora che mi sono deciso a darli ma in un modo molto particolare. Li darò a mano, un po’ come in un rituale, a chi verrà a prenderli.

Voglio darli a mano e per ora li ho colorati con una simbologia personale, li ho colorati con colori diversi per dare bene l’idea dell’intenzione che accompagna quelle note così da indicarla a chi li suonerà.

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Verso orizzonti senza confine: INTERVISTA A GRAZIANO CIACCHINI

 

In questa intervista cercheremo di conoscere meglio l’artista Graziano Ciacchini.

Le sue attività spaziano in vari ambiti espressivi anche se negli ultimi anni si è dedicato soprattutto alla pittura. Uno stile personalissimo contraddistingue il suo lavoro accompagnando l’osservatore in un viaggio esplorativo attraverso dimensioni oniriche e surreali.

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L’artista, toscano, si è fatto conoscere ed ha ottenuto visibilità e consenso anche nel panorama internazionale.

Le tele si aprono su spazi infiniti: un invito a lasciare la certezza di orizzonti conosciuti per viaggiare tra colori e forme dove la meraviglia della scoperta si cela dietro a ogni pennellata. Spazi di serena contemplazione dove il silenzio e la calma predispongono a ritrovare se stessi.

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La rarefatta atmosfera che caratterizza le opere di questo artista è in grado sia di infondere calma, serenità e pace ma anche di stimolare contemporaneamente l’osservatore a aprirsi su mondi nuovi dove la strada è appena accennata e tutto è ancora da scoprire.

Narrazioni fiabesche che nascondono la possibilità di molte varianti comprensibili sono dal nostro livello più profondo, oltre la coscienza, oltre l’io, oltre la cultura, da quel linguaggio comune che accomuna tutti gli uomini del mondo, universale, archetipico, fatto di simboli antichi e ancestrali.

Una bellezza che prende forma solo nel dinamismo dell’esplorazione, della sperimentazione e dell’ascolto  e mai in una staticità formale data una volta per tutte.

La ricerca artistica rende reale ciò che poteva sembrare irreale perchè ne varca il confine. Le narrazioni sono condotte con uno stile formale preciso, con sapiente uso del colore e della tecnica espressiva.

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Il lavoro di questo artista si connota  di una forte dimensione emozionale che conduce l’osservatore a riappropriarsi di un sentire sempre più minacciato da una quotidianità rumorosa e inconsapevole.

Scelte cromatiche che identificano uno stile originale dove l’osservatore è invitato a perdersi per poi ritrovarsi come al ritorno di un lungo cammino, mai uguale a come era partito.

L’artista fa parte dell’Associazione  Secondo Piano a Sinistra

https://it-it.facebook.com/secondopianoasinistra/.

Con altri artisti ha partecipato alla realizzazione di opere su due numeri della rivista Seconda Cronaca http://www.secondacronaca.it/tutti-i-numeri/http://www.melobox.it/la-citta-delle-storie-nascoste-pisa/

Per seguire  Ciacchini nelle sue svariate e interessanti attività o per contattarlo :

https://it-it.facebook.com/ciacco65/

grazianociacchini@gmail.com

 

Graziano Ciacchini
Graziano Ciacchini – foto di Ivo Almiramaro

 

 

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Quali artisti ti hanno ispirato di più durante la tua formazione?

Il mio percorso di avvicinamento all’arte ed in special modo alla pittura, è stato un raccogliere, dapprima quasi casuale e poi sempre più cosciente, di emozioni attraverso le immagini. Sono stato e sono visitatore di musei, di mostre e lettore di pubblicazioni  artistiche, in un crescendo di consapevolezza verso il bello che quel mondo che andavo esplorando sapeva trasmettere. Un percorso di conoscenza personale, se vogliamo, che è successivamente sfociato nel dipingere.

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Sono sempre stato attratto da quella pittura che attraverso l’immagine, volesse dire qualcosa, piuttosto che rappresentare qualcosa ed è probabilmente per questo motivo che la pittura ed i pittori che hanno lasciato un segno nella mia sfera emozionale, appartengano a scuole, correnti, fama ed epoche diverse. Quando penso ai singoli artisti, però, l’attenzione si concentra prevalentemente sul secolo scorso.

Il primo a venirmi in mente è sicuramente Edward Hopper che rappresenta il pensiero presente, l’intimità di uno stato d’animo, in delicati fermo immagine mentali, elementi  manifestati invece con una espressività ed una drammaticità laceranti da Lorenzo Viani, pittore del mondo degli ultimi. Amo anche Sironi, con le sue periferie silenziose e struggenti, De Chirico e le sue architetture, quinte di pensiero, e poi i volti e le atmosfere di George Tooker, i paesaggi di Carlo Carrà, fino ai Pittori del 900 Toscano, da Ottone Rosai a Baccio Maria Bacci (la solitudine hopperiana di “pomeriggio a Fiesole”) da Guido Ferroni a Ram.

Penso che sia stato il mio, un processo non esattamente consapevole, di interiorizzazione ed elaborazione dell’opera di questi ed altri pittori, processo che nel tempo, mi ha prima spinto verso il dipingere e poi mi ha consentito di far emergere il modo di comunicare che ancora oggi caratterizza i miei lavori.

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Nel tuo percorso hai attraversato diverse forme espressive, arrivando alla pittura attraverso la poesia. C’è una continuità in questo passaggio?

Secondo me la continuità è rappresentata dall’istanza di comunicare i temi che a me sono più cari, quelli legati, pur nei limiti personali, alla esplorazione del proprio essere, fino a sbattere nei propri confini, pur sapendo che oltre quei confini, esiste sicuramente un altrove da sperimentare e da viaggiare. Ecco che i versi od i colori, diventano semplicemente espressioni diverse della stesso stato d’animo. Negli ultimi anni la pittura ha comunque preso il sopravvento. Non so bene quale sia la ragione. Forse le parole, pur nella loro vastità di significato, circoscrivono, più delle immagini il concetto e lasciano meno libertà al lettore, rispetto a quella di chi, guardando una immagine, ha la facoltà di scegliere da solo le parole più adatte.

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Nelle tue opere gli edifici sono in primo piano e le figure umane sono un dettaglio secondario che appare come insignificante. Puoi dirci qualcosa di più in merito?

L’architettura è una mia passione da tantissimi anni. Amo le architetture rappresentate in pittura, specialmente quando riescono ad evocare qualcosa che vada al di là di una mera articolazione dello spazio, quinta di scene nelle quali i protagonisti siano gli uomini. Nel mio caso le architetture rappresentano qualcosa di vivo e pensante, che osserva, ed è osservato, dalle figure antropomorfe in veste blu e nera. Anche queste ultime potrebbero essere architetture di un concetto, anzi lo sono. Per me rappresentano il pensiero che ha pensato l’immagine, dentro l’immagine stessa, come una gita premio, come un abbonato in prima fila, ed invitano ed accompagnano l’osservatore nell’avventura della scoperta. Ho la pretesa di pensare che i miei lavori siano una piccola finestra aperta verso l’esplorazione del pensiero. Non so se ci riesco, ma è quello il mio intento.

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Che rapporto hai con la scelta dei colori?

Un rapporto assolutamente libero, nel bene e nel male. Sono un autodidatta e non ho preparazione specifica sulla teoria dei colori.

Come per la musica si dice andare ad orecchio, io nel dipingere, vado “ad occhio” e sperimento ogni volta, in ogni tela. E’ evidente che l’azzurro la fa da padrone, nei miei lavori e forse il perché è legato semplicemente alla sensazione di serenità, equilibrio ed infinito, alla possibilità dell’oltre che quel colore, più degli altri, mi trasmette.

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Da bambino eri già interessato al disegno?

L’approccio alle materie scolastiche, specialmente nel caso dei bambini, rappresenta una delle prime occasioni per ampliare i confini del proprio essere. La conoscenza, la sperimentazione.

Parlo della scuola perché è in quel luogo che vanno i primi ricordi dell’approccio con il disegno. Conservo ancora uno splendido album con tutti i disegni fatti all’asilo all’età di cinque anni. Ricordo che il disegno mi piaceva molto perché pur, a volte, nell’ambito di un tema, le insegnanti lasciavano molto spazio alla libertà e quindi alla ricerca, alla sperimentazione più o meno consapevole. Ci facevano poi usare un sacco di materiali, dalle matite agli acquarelli ai pastelli alla cartapesta fino al riso, per creare basi ruvide, insegnandoci il collage piuttosto che la tridimensionalità del pongo e la contaminazione di materiali e tecniche. Dalle scuole elementari quella libertà è stata bruscamente ridimensionata. O sapevi disegnare che significava riprodurre più fedelmente possibile qualcosa, oppure non era cosa  per te e dovevi lasciar perdere. La parte espressiva o creativa, non esisteva più.  Di fatto ho lasciato perdere per circa trenta anni convinto che fosse degno solo chi sapeva riprodurre fedelmente un paesaggio o un volto e quando ho cominciato a sentire forte la voglia di mettere i miei pensieri su tela, mi sentivo come un clandestino in un mondo d’altri e mi trovavo a censurarmi da solo.

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Come dovrebbe essere secondo te, l’educazione all’arte, a scuola?

In parte ho già risposto in precedenza. In sintesi credo che la scuola dovrebbe lasciare alla libertà di espressione il maggiore spazio possibile, affiancando poi,  con intelligenza, all’esperienza di se, accorgimenti e regole. Il risultato, secondo me, farebbe si che ognuno dei due processi di apprendimento non mortificasse l’altro ma che insieme permettessero di esplorare l’intera possibilità espressiva di ogni individuo.

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In quali attività artistiche sei impegnato al momento?

In genere i primi mesi dell’anno sono quelli del rinnovamento ed in questo periodo sto elaborando nuove idee per i prossimi lavori e cercando luoghi possibili, per realizzare esposizioni personali.

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Hai avuto modo di lavorare e essere riconosciuto anche fuori dai confini nazionali?

Ho esposto a Parigi in due diverse occasioni. In una esposizione collettiva di artisti italiani nel 2017 e in una fiera d’arte, shopping art Paris, nel 2016. Al momento ho alcuni contatti attraverso i quali spero di poter esporre in altri paesi europei. E’ vero anche che oggi per  farsi conoscere oltre i  confini del proprio paese, il web da grandi possibilità e mi ha permesso di avere visibilità e apprezzamenti da diverse parti del mondo.

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Quali sono i tuoi progetti artistici per il futuro?

Lavorare! Ho voglia di proseguire ed ampliare il mio viaggio di scoperta per poi manifestarlo attraverso l’ideazione e la realizzazione di nuovi lavori.

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Chiara Gasperini

Pitture emergenti: ALESSIO DOVERI

Alessio Doveri, giovane artista emergente,  si muove tra varie forme espressive (soprattutto pittura e fotografia).

Intreccia il suo percorso di ricerca artistica con esperienze di vita orientate intenzionalmente alla scoperta di sé e della dimensione più misteriosa dell’esistenza.

Ammesso che nella nostra vita ci sia qualcosa che non è misterioso.

Mi accoglie nel borgo di Lari, in un vecchio lavatoio, adibito a laboratorio ai piedi del castello medioevale del borghetto pisano. Nelle sue parole possono riconoscersi molti artisti emergenti perché raccontano del percorso sempre in fieri verso una propria identità artistica fatta di ricerca costante in sé e fuori di sé.

Quello che si fa è prima di tutto un’esigenza espressiva personale ma c’è bisogno che venga legittimato, riconosciuto dall’esterno perché è quell’immagine di noi che l’altro ci rimanda a arricchire, sfumare, modificare l’idea instabile e perciò libera, della forma di noi stessi. L’uomo è libero perché sempre in rapporto alla possibilità che si configura come scelta. 

L’arte è anche soprattutto libertà di creare nuove possibilità oltre il già dato sia per chi la realizza che per chi ne fruisce.

Nelle opere di Alessio le forme e i colori emergono da uno spazio – tempo dilatato, a tratti galattico,  in una dimensione non-logica che lascia a chi guarda la possibilità di stare con il non-ancora o riconoscere invece significati che prendono forma dal rapporto tra l’interiorità di chi osserva e l’opera.

Per saperne di più sul lavoro di Alessio Doveri e sulle sue svariate attività vi invito a visitare le sue interessanti pagine: www.alessiodoveri.it

http://www.alessiodoveri.it/

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Parlaci della tua pittura, come lavori da un punto di vista “tecnico”

Alessio: la mia pittura prende spunto dalla tecnica chiamata “Dripping”, impiegata da artisti  come Ernst e Pollock, che consiste nel far gocciolare la vernice direttamente sulla tela distesa a terra, lasciando un certo margine al caso. Questo è stato solo l’inizio, perché nel tempo ho modificato il risultato avvalendomi di attrezzi utilizzati nell’edilizia (spatole, cazzuola e frattazzo, ecc).

Il mio lavoro è prettamente istintivo. Utilizzo principalmente vernice acrilica su pannelli di polistirene estruso: questo mi permette di incidere il materiale senza che esso si spezzi. Nell’ultimo anno ho aggiunto le garze, per rendere la superficie imperfetta fin da subito.

Nel tempo mi sono spesso ispirato al percorso artistico di Kandinsky e alla sua ricerca delle linee, delle forme e del colore; questi temi si ripetono nella mia arte e nelle mie fotografie.

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Puoi dirci qualcosa in particolare sulle tematiche che rappresenti nei tuoi lavori?

Alessio: i miei lavori affrontano l’essenza delle emozioni. Se si va oltre la logica si può iniziare a avvicinarsi al nostro inconscio e da lì entrare in contatto anche con sentimenti che possono infastidirci o sorprenderci in positivo.  Le tematiche più significative per me sono il rapporto tra uomo/natura e l’amore tra essi, la speranza di un equilibrio che forse non arriverà mai a causa dell’avidità del potere umano.

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Quali sono state le esperienze di vita che ti hanno maggiormente influenzato in questo sviluppo creativo?

Alessio: molti anni fa ho avuto modo di percorrere il Cammino di Santiago. Questo è stato un importante passaggio nella mia vita, dal quale ho imparato molto e lì ho capito che il caso non esiste. Oggi viaggio spesso da solo, aperto ad accogliere e dare, questo mi permette di stabilire degli scambi energetici con sconosciuti che saranno poi fonte d’ispirazione per mia arte.

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Quale riscontro ricevi da parte del “pubblico”?

Alessio: ogni volta che faccio un’esposizione personale mi accorgo che è un’esperienza unica e gratificante. Sono affascinato dal rapporto che si crea tra spettatore e opera quando si instaura un contatto, un feeling che va oltre il fermarsi all’estetica del giudizio. Questo per me è un risultato importante, visto che stiamo attraversando un periodo storico particolare dove tutto corre e non abbiamo tempo per soffermarci sull’ascolto. Per questo motivo, spesso chiedo alle persone presenti di disporsi in cerchio e condividere le proprie emozioni.

STARLAND - S15
STARLAND – S15

In questo momento della tua vita cosa vorresti che le tue opere lasciassero a chi le osserva?

Alessio: il mio pensiero è rivolto alla speranza e questo è ciò che desidero trasmettere a chi osserva. Poi sento che l’arte è uno strumento e ognuno è libero di esprimere ciò che meglio crede e sente.

STARLAND - S04 - particolare
STARLAND – S04 – particolare

Hai mai pensato di trasferirti all’estero o credi che l’Italia sia un buon posto per crescere professionalmente come artista emergente?

Alessio: sinceramente ho difficoltà a dare una risposta certa, mi sento di dire che in Italia attualmente sono rari gli spazi di confronto e i punti di riferimento per una crescita artistica e culturale. Mi sembra che ci sia poco interesse nel vivere l’arte e più apparenza nel fare arte.

STARLAND
STARLAND

Che progetti hai per il futuro?

Alessio: il linguaggio espressivo di ogni artista è in continua evoluzione ed io mi trovo in un momento di passaggio importante nel quale sto analizzando il rapporto artista/spettatore. Credo che sia fondamentale ristabilire un collegamento diretto tra le due figure e il mio progetto consiste proprio in questo. Attraverso la ricerca dell’infanzia, recuperare e stimolare gli adulti ad andare oltre e far mettere loro da parte le sovrastrutture date dal tempo vissuto.

Studio
Studio

Per ragioni di spazio oggi ci siamo occupati solo della pittura ma tu realizzi anche molto altro…Vuoi parlarcene?

Alessio: voglio raccontarti velocemente il mio viaggio.

La passione per l’arte è sempre stata presente nella mia vita, ma era latente e con difficoltà emergeva.  Spesso mi divertito a scarabocchiare e mettere un po’ di colore in qua e là, ma dopo il Cammino di Santiago tutto è diventato vivido e acceso. Questo lo si può vedere, quando iniziai a realizzare le mie prime installazioni in legno e con i manichini. Mi sentii come un cappellaio magico che in continua evoluzione gioca con il proprio talento e sentimenti.

Questo fu solo l’inizio del mio viaggio di ricerca, con il passare degli anni sentii la necessità di sperimentare la creta, il découpage, le tecniche miste su legno, la scrittura creativa, le pitture astratte e per finire alla fotografia astratta e lo still-life.

Potrei dire che tutto questo è servito per conoscermi meglio e capire che gli strumenti acquisiti sono frutto della consapevolezza. Ci tengo a puntualizzare che l’identità di una persona, non è fatta dalla sola estetica ma soprattutto dai suoi contenuti intrinseci.Tutto questo è il mio modesto pensiero umano e artistico… Buona vita! Grazie

DREAMTIME - D06 -particolare
DREAMTIME – D06 -particolare

I colori della terra: intervista a CARLO ROMITI

Percorsa una strada sterrata dove la campagna toscana tutt’intorno dà il meglio di sé, arriviamo alla casa dell’artista. Una casa antica, che racconta di un diverso rapporto con le cose e con l’ambiente, dove le vecchie pietre si integrano perfettamente a tutto il resto, non c’è scarto ma armonia tra opera dell’uomo e ambiente naturale.

Per prima cosa, l’artista, dopo averci salutati, libera i suoi due bellissimi cavalli, uno scuro e uno baio, aprendo la pesante porta della stalla. Subito i cavalli corrono sulle colline. Un cane ha voglia di giocare con loro e li segue abbaiando.

L’aria mite di una mattina di luglio, le criniere dei cavalli liberi al galoppo e due cani felici già potrebbero essere ingredienti più che sufficienti a riempire di bellezza una giornata ma c’era ancora molto altro.

Carlo Romiti ci accoglie con un autentico senso dell’ospitalità e ci conduce nel suo studio.

Prima di entrarvi, io e Luca Doveri attraversiamo una stanza più piccola dove sono custodite selle di vario tipo e materiale per l’equitazione che l’artista pratica da sempre.

Casa dell'artista: luglio 2018
Casa dell’artista: luglio 2018 – foto di Luca Doveri

Romiti dipinge con le terre che raccoglie personalmente nella campagna tra San Gimignano e Volterra e che poi utilizza sulle sue tele dopo averle rese disponibili in varie modalità e con tecniche naturali.

Nel suo studio, su mensole alle pareti, sono esposti vasi di vetro pieni di terra delle più sottili sfumature di marrone ma anche nel nero o nel blu di lapislazzuli. La terra, a saperla scegliere, offre una gamma cromatica incredibile che va dal rosso all’ocra al nero, attraverso i diversi verdi e i grigi quasi azzurri. Nella grande e luminosa stanza sono sistemate diverse sculture perché Romiti è pittore ma anche sculture e regista teatrale.

Questo straordinario artista dipinge soprattutto animali come tori, cervi, cavalli in una modalità che ricorda i graffiti degli uomini preistorici. Questi animali così rappresentati sono senza tempo. Chi li guarda sulla tela, può sentire quanto la loro natura sia vicina alle nostre profondità interiori, fatte di istinto e di impulsi selvaggi. Potrei definirli archetipi, forme originarie.

luna crescente
luna crescente

Romiti ci invita a riappropriarci della nostra natura indomita che troppe volte, in nome di falsi idoli addomestichiamo con spietata violenza. Così come la scena dei cavalli forti che galoppano senza sella, liberi sulla collina, le opere di questo artista liberano l’osservatore e lo riavvicinano all’elemento che ci unisce e ci nutre, la terra.

Studio dell'artista: sfumature di terre
Studio dell’artista: uno scaffale con alcuni colori – foto di Luca Doveri

 

Carlo Romiti si occupa anche da molti anni di teatro, dal 1987, infatti, dirige il Laboratorio Teatrale del Centro Arti Visive del Comune di Certaldo che prendendo spunto dalle opere di Giovanni Boccaccio, realizza spettacoli di carattere contemporaneo.

Tra le sue svariate attività ricordo i corsi sulle tecniche pittoriche per la sezione didattica del Museo degli Uffizi a Firenze e al Museo di Preistoria di Firenze.

Romiti, nel lontano 1988, ha collaborato alla realizzazione di Mercantia e a intitolare proprio con questo nome il festival di teatro di strada e artigianato che si svolge ogni anno a Certaldo Alto nel mese di luglio e che in questi trent’anni è naturalmente cambiato più volte rispetto al progetto originale.

Per conoscere la biografia e le opere di questo artista vi invitiamo a visitare il sito:

http://www.carloromiti.it/

Toro: luglio 2018
opere in lavorazione: luglio 2018

 

 Tra le varie forme artistiche a cui ti dedichi quale ti rappresenta maggiormente?

Mi piace giocare con quello che faccio, intendendo per gioco una cosa per nulla superficiale. Ci sono tante cose che mi appassionano e dedicarmi all’una o all’altra vuol dire dare ordine a quello che mi piace, ogni arte ha le sue grammatiche da seguire. Resta molto importante alimentare il senso del gioco e farlo con il cuore.

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Come è nata la tua passione per la terra?

Sono sempre stato in mezzo agli animali e alla natura. Mio padre era un veterinario, mio nonno era un medico e l’altro mio nonno domava i cavalli da solo. Fin da piccolo andavo con mio padre a fare le visite agli animali da una campagna all’altra. Sono sempre stato attratto dalla terra e credo che quando l’uomo inquina il suo ambiente e non rispetta la terra fa male prima di tutto a sé stesso e a ciò che lo sostenta.

paesaggio ocra
paesaggio ocra

Come hai iniziato a dipingere?

Mio nonno medico amava disegnare con una penna che ancora conservo e nella mia famiglia non era stato il solo a avere la passione per il disegno. Insomma in casa Romiti c’era una voglia latente di fare il pittore. Io stesso disegnavo continuamente, anche a scuola, mentre i professori spiegavano o quando tornavo dalle visite fatte con mio padre a casa poi disegnavo gli animali che avevo visto. Frequentavo il liceo classico ma davanti al greco e al latino non provavo entusiasmo finché, un giorno, avendolo capito, mio padre mi disse: “Un po’ di greco e di latino l’hai fatto, ora vai!” Così mi iscrissi all’Accademia di belle Arti di Firenze e iniziai a confrontarmi davvero con il mondo dell’arte.

in opera
in opera

Ci sono state particolari fonti d’ispirazione?

Sapere che ancora oggi raccolgo le terre nelle stesse campagne di Cennino Cennini  e riprodurne anche le modalità di lavorazione è per me davvero ispirante. Anche lui, si capisce che univa la tecnica al piacere di quello che faceva. Si tratta di armonizzare e unire la cultura e l’istinto.

toro bianco
toro bianco

Cosa accomuna le tue opere pittoriche a quelle di Lascaux o Altamira?

La terra e gli animali ma soprattutto l’emozione. Comunicare qualcosa che ha colpito profondamente è anche comunicare sé stessi. Il lavoro da fare, in tutte le arti, è permettere alla propria autenticità di prendere corpo.

Ti senti capito dal pubblico?

Inizialmente le mie opere erano apprezzate maggiormente all’estero, negli ultimi anni, anche in Italia.

cavallo
cavallo

Quali artisti ammiri di più?

Ce ne sono davvero molti. Sono attratto soprattutto da chi fa qualcosa di autentico, che parte dal suo cuore e non ricerca la novità fine a sé stessa o il sensazionalismo d’effetto. Ricordo di essere rimasto molto colpito, anni fa, dagli animali di Picasso, in una mostra a lui dedicata. Ma anche da certe opere di Mario Sironi. A volte, basta anche una semplice campitura, che può bastare a raccontare tutto il lungo lavoro di ricerca.

Gli animali che disegni sono frutto di fantasia o sono rappresentazioni esatte di qualcosa di visto nella realtà?

L’arte è un atto d’amore. Fin da bambino mi sono abituato a disegnare gli animali che vedevo. Ancora oggi vedo animali tutti i giorni perché la posizione di questa casa me lo permette. Lupi e cinghiali. Li vedo anche nelle loro dimensioni più vere. L’animale che poi disegno è allora filtrato dalla memoria.

cinghiale
cinghiale

Quali pensi possano essere validi criteri per avvicinare i bambini all’arte?

Nel mio lavoro con i bambini e con gli insegnanti ho sempre cercato la semplicità. Mettere i bambini davanti a cose elementari consente loro di iniziare gradualmente a padroneggiare il loro saper fare e sentirsi competenti da lì poi, verrà naturalmente fuori la voglia di sperimentare. I bambini sono naturalmente attratti dalla terra, un elemento che ci chiama da sempre a toccarlo, modellarlo, guardarlo. Il contatto con la materia è essenziale. Riempire di colore un foglio o tracciare una lunga e grossa linea da una parte all’altra del foglio con un pennello può già essere un’esperienza significativa che fa acquisire autostima al bambino e lo solleva dalla paura dello spazio bianco. Determinante è il ruolo dell’insegnante che deve essere preparato, deve conoscere la storia dell’arte e soprattutto è fondamentale che sia appassionato perché solo così potrà accendere anche la passione dei bambini.

Un messaggio per concludere l’intervista?

Non prendersi troppo sul serio che non vuol dire essere superficiali ma significa, per me, essere noi stessi, fare con il cuore. La spasmodica ricerca della novità e del sensazionalismo non alimentano un’espressione artistica autentica.

Toro su sfondo rosso
Toro su sfondo rosso

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tessuto dei sogni: la pittura svela il femminile. Le emozioni e l’arte di LUCIA GUADALUPE GUILLEN

Brescia mi piace.

A Brescia l’Italia è stata un sogno di Indipendenza e Libertà prima ancora di essere un Paese.

Leonessa d’Italia“, così viene chiamata la città lombarda.

Vago nel centro storico, seguo il selciato e la luce dorata, soffusa della sera.

Un atelier si nasconde dietro un portone massiccio.

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La padrona di “casa” è la giovane artista Lucia Guadalupe Guillen, laurea all’Accademia di Belle Arti di Venezia e poi laurea specialistica in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, un musicale accento spagnolo e tanto da raccontare.

http://luciaguadalupe.it/biografia/

La maggior parte delle volte, preferisce lasciare le sue opere senza un titolo perché un titolo, afferma, può essere un limite per chi guarda l’opera.

Toni caldi e avvolgenti dominano l’atmosfera: il rosa e il cipria.

Due grandi finestre lasciano entrare il cielo e la sua luce.

Sono i colori del nord dell’Argentina che si ritrovano sui quadri. E poi orologi, corsa contro il tempo, figure femminili che dominano. Il tema del doppio: uno svelare la realtà tra i veli dell’apparenza e poi un apparire ulteriore che affiora.

Opere dalla delicata espressività, dove tra i tessuti e il cucito si nascondono decorazioni e ricami.

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Lucia-Guadalupe-GuillenShop-windows-II-tecnica-mista100x120cm-2015.

Tutti i materiali  che vengono utilizzati e reinterpretati dall’artista raggiungono una perfetta fusione con l’intenzione dell’opera e non risultano mai sfoggio stilistico fine a se stesso.

Armonia e verità pervadono le opere che si mostrano con apparente semplicità.

Una decisa personalità artistica connota tutte le creazioni di Guadalupe Guillen che risentono positivamente di una ricca dimensione interculturale e di un talento che invita a uno sguardo attento.

Guadalupe: ho studiato a Venezia e a Brera, ho disegnato e dipinto per giorni e giorni, per anni, e continuo a farlo, portando con me tutti i maestri che sono stati importanti, con la loro disciplina e il loro duro lavoro, come Carlo di Raco e Andrea Del Guercio.

Chiara: cosa ricordi delle tue prime ricerche artistiche?

Guadalupe: come vedevo me stessa e come ognuno di noi vede sé stesso nella società. Figure emergono come nebbia che si alza nella sera. Bambini che sono me e mia sorella gemella da piccole. Il bambino è l’emblema di tutto ciò che è puro e non è contaminato dalla società.

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Lucia-Guadalupe-Guillen-acrilico-e-olio-su-tela-120x200cm-2012.

Chiara: i tuoi primi lavori ritraggono spesso bambini…

Guadalupe: il bambino è sincero. Il bambino è, semplicemente, senza dovere essere.

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Lucia-Guadalupe-Guillen-acrilco-e-carta-colorata-su-tela-100x100cm-2013.

Chiara: si individuano fasi diverse nelle tue creazioni artistiche.

Guadalupe: al termine del mio percorso a Brera ho iniziato a disegnare abiti. Vengo dal Nord dell’Argentina, da Salta, ai piedi della Cordigliera delle Ande… dove c’è una importante tradizione tessile artigianale ancora molto viva.

In “Madre e Figlia”, per esempio, i vestiti celano una identità, confondono, ingannano. Non capiamo chi sia la madre e chi, invece la figlia.

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Lucia-Guadalupe-Guillen-Acrilico-matite-e-lana-colorata-su-tela70x100cm-2014.

Chiara: il lavoro sui vestiti  è minuzioso in tutte le tue opere.

Guadalupe: utilizzo carta riciclata, veline che danno movimento, ago e filo per cucire e ricamare sulle opere. Io do vita a cosa sento come urgente in un certo momento, il perché lo capisco solo in seguito. A guidarmi ci sono le emozioni che scaturiscono autonome e indipendenti… sono loro a portarmi dove a volte nemmeno io so.

Chiara: vedo abiti anni ’50, come fossero disegni per una casa di moda…e poi ci sono insetti disegnati, schierati, in fila.

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Guadalupe: questa è la terza fase della mia produzione. Abiti su lucido. Sono nata in Patagonia, lì non c’erano insetti, era troppo freddo. Poi, una volta giunta a Salta io e mia sorella gemella li abbiamo scoperti. Le formiche giganti hanno colpito tantissimo la mia immaginazione e ancora oggi le disegno. In quegli anni, a scuola ero affascinata soprattutto dai colori. Gli anni Cinquanta avevano un ideale femminile con i fianchi più larghi, donne che esplodevano di vitalità, iniziavano a tirare fuori il corpo …far notare le curve.

Chiara: geometrie si intrecciano in tessiture minuziose, come di tappeti. Fino ad arrivare alle tue attuali produzioni. I vestiti come pura esteriorità, come apparenza senza corpo. Il vestito che diventa l’unica cosa che si vede perché il corpo scompare. Il vestito come maschera che cela, nasconde, inganna.

Guadalupe: sono attratta dalla possibilità di cambiare le prospettive, i punti di vista di chi guarda, la collocazione nello spazio deve essere diversa, un invito alla scoperta e a forme nuove.  La recente esperienza di maternità con mio figlio Achille e un viaggio nel verde Messico mi ha ispirata a una ricerca nuova sul corpo che si fa pianta e sulla pianta che come in un antico erbario esprime tutta la sua natura vitale e pulsante, la ricchezza florida e arborea di nuove creature. Il tema del sogno che vede animali, insetti esseri umani confondersi. In Messico mi sono sentita invadere dalla natura e dai colori e sono partita in un viaggio artistico personale.

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Chiara: la scuola oggi cosa può fare per migliorare la società?

Guadalupe: avvicinare i ragazzi alla dimensione emotiva e all’espressione delle emozioni, educare all’empatia e alla condivisione. Insieme ad un’altra pittrice, Antonella Pedretti, stiamo facendo una istallazione di acchiappasogni per realizzare una dimensione collettiva.

Una sorta di gigantesco arazzo composto di acchiappasogni. Vorremmo fare la stessa cosa con le scuole… dove ogni alunno crea il suo acchiappasogni dove stiano desideri, emozioni, speranze, sogni. Una volta uniti in un’unica installazione vogliamo far riflettere su quanto, tutti insieme, diano vita a qualcosa di più bello ed emozionante.

Chiara: cosa cambia tra il fare l’artista in Argentina e il farlo qua?

Guadalupe: la burocrazia! Qui ce ne è tantissima. In Argentina gli artisti sono molto più liberi di fare qualsiasi cosa, aprire spazi, avere iniziative senza essere costretti dentro schemi legali e burocratici. D’altro canto in Italia l’arte è ovunque e ciò è uno stimolo straordinario!

Il Grande Acchiappasogni
Il Grande Acchiappasogni

 

Intervista: PAOLO RIZZI “libertà tribale è un anagramma”

Paolo Rizzi, oltre che artista è docente di storia dell’arte e filosofia.  Dopo gli studi universitari in comunicazione svolti  a Milano e varie esperienze professionali in Italia e all’estero, attualmente è residente in Toscana.

Le sue opere costituiscono una produzione metropolitana e tribale al tempo stesso, o forse tribale proprio perché metropolitana nel senso più autentico del termine. Visioni artistiche che non temono l’incontro con la filosofia e sfuggono dall’autoreferenzialità.

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La dimensione internazionale delle esperienze professionali di Rizzi si riflette nel suo lavoro caratterizzandolo con un stile comunicativo e personalissimo.

Tra colori vivaci e forme dai tratti marcati il lavoro di Rizzi accompagna chi osserva in una dimensione fantastica popolata da robot, supereroi, astronauti, figure cangianti, tigri ipnotiche. Primi piani e città dove il colore carico ne narra le storie. Pittura di figure che a tratti si fanno specchio di chi guarda, per poi prendere forza nelle antiche tribù delle origini e nel corpo animale, ora della tigre, ora del cavallo, prima di smarrirsi di nuovo in un frigorifero allegramente colmo di cibi industriali. In alcuni frigoriferi dipinti da Rizzi troviamo anche libri, dadi e soprattutto tempo sottoforma di sveglia e altri oggetti, ognuno con un messaggio per chi guarda in una società che tutto consuma e divora, tutto vende e tutto compra. Modi di consumare fagocitando: un frigo dove purtroppo sono presenti anche animali, visti solo come cibo, senza la coscienza della differenza che sussiste tra una cosa e un animale. Un invito a riflettere, a prendere consapevolezza di ciò di cui ci nutriamo, a tutti i livelli: fisico, mentale, emozionale. Questo per orientare a un maggiore rispetto verso tutte le forme di vita animali che sono con noi in questo viaggio terreno.

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I colori sono saturi e decisi, stesi seguendo a volte linee contrastanti e sovrapposte, altre volte con meticolosa coerenza, così come le forme geometriche tracciate con linee marcate a volte imprecise, graffiate. Le composizioni assumono un carattere vigorosamente primitivo che offre a chi guarda la certezza di una energia e di una forza che prende forma, provvisoria, accennata, ma sempre decisa e priva di ambiguità.

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Visioni corroboranti di personaggi fantastici che sembrano provenire dai cartoons o da qualche giornale di fumetti dimenticato. Raccontano silenziosamente storie di viaggi e di esistenze intergalattiche o oniricamente quotidiane. Altri sé, visioni di una identità umana che si ritrova perdendosi nella molteplicità di una ricerca tra il serio e il faceto tra il reale e l’irreale, tra il tangibilmente materiale e il fantasticamente onirico. Le opere di Paolo Rizzi sembrano ritrarre una identità umana alla ricerca di sé stessa. La contemporaneità è crisi delle certezze. Se il novecento era stato definito da alcuni come secolo della crisi dell’io, oggi questa stessa crisi ha dilagato e dall’io si è riversata sul mondo come un’ eco nietzschiano inconsapevole che continua a propagarsi. Un cammino che appare senza appigli se l’io e le certezze ultime sono dissolte. Tuttavia, un cammino non tracciato  è  anche per questo un cammino dove  infinite vie sono possibili, così le opere di Rizzi sono accomunate dalla tendenza alla ricerca e alla sperimentazione.

Per saperne di più sull’artista:

www.paolorizzi.com

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Chiara: ho letto che dipingi da quando avevi vent’anni: come è cambiato, nel tempo, il tuo modo di lavorare?

Paolo: essendo autodidatta ho dovuto dipingere molto e guardare moltissimo prima di trovare un mio modo di lavorare. E sostanzialmente negli anni è cambiato quanto tempo impiego a realizzare un quadro… ho imparato ad aspettare, a tornare sul lavoro tutte le volte che serve.

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Chiara: cosa significa oggi essere un’artista?

Paolo: forse rubare più tempo possibile per me. Sfuggire alle richieste necessarie della società, creare un proprio mondo, una sorta di intercapedine fra il collettivo e il personale, fra il senso e il non-senso.

Chiara: cosa apprezzi di più in un’opera d’arte? (il soggetto, la tecnica, lo stile, il messaggio, altro…)?

Paolo: poichè non esiste un’unica opera d’arte, un unico modo di fare arte, tutte le cose che hai indicato possono essere apprezzabili. Vero è che se la tecnica, e soprattutto lo stile, non raggiungono una certa forza, l’opera d’arte non esiste. Il risultato rimane relegato in un tentativo, un’idea, niente di più. Ma è altrettanto vero che se il soggetto o il messaggio sono stereotipati alla fine il quadro è noioso…quindi direi che un’opera d’arte è l’insieme di tutte queste cose.

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Chiara: tra i grandi musei internazionali che hai visitato dove torneresti più spesso?

Paolo: forse vorrei vedere quelli che non ho ancora visto, ad esempio non ho ancora visto un museo che contenga un certo numero di opere di espressionisti astratti americani degli anni ’50 e ’60 che per me sono fantastici. Comunque tornerei volentieri al Prado, a Madrid.

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Chiara: un’opera d’arte è infinita nelle sue interpretazioni perchè cambia chi la guarda. Il processo ermeneutico non è esauribile. Sei d’accordo con questa affermazione?

Paolo: sì, forse ad un certo livello sociale, personale, culturale, ideologico l’opera d’arte non esiste di per sé, ma se penso a Michelangelo, ad esempio…. Le sue opere esistono di per sé. Chiunque le guardi prova stupore, sgomento, attrazione. Non è semplicemente un’induzione sociale. Per tutti gli altri forse ci vuole il pubblico. Ma un’opera d’arte non deve necessariamente stupire, può evocare pensieri, domande, provocare, seminare il dubbio o il panico. Può raccontare, mostrare…Se ossevo la tua domanda, filosoficamente…”Un’opera d’arte è…”allora hai già accettato che l’opera d’arte esista, e se hai già scelto con cosa ti vuoi confrontare allora l’ermeneutica viene dopo, come una specie di alta consolazione, un tentativo di giustificare quel che non è giustificabile. L’arte esiste davvero, di per sé, è una manifestazione misteriosa…

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Chiara: ci sono state fonti d’ispirazione, persone, esperienze che credi abbiano maggiormente influito sulla tua produzione artistica?

Paolo: certo, infinite, sempre in divenire, attuali, non smetti mai di vedere. Può essere un grande artista o un muro scrostato. Sicuramente l’arte moderna in particolare è al centro della mia formazione e anche se molto diversi da me gli espressionisti astratti americani da De Kooning a Rothko a Louis Morris, Kleine, Motherwell…mi hanno ispirato moltissimo. Anche se forse il quadro più sconvolgente che ho visto dal vivo è la “Deposizione di Cristo con angelo” di Antonello da Messina

Chiara: gli studi filosofici e il lavoro di professore di filosofia, come credi possano influire sul tuo modo di essere pittore?

Paolo: difficile dire perchè le due cose sono sempre coesistite per me, comunque direi il senso di ricerca. Un’opera non è il punto di arrivo ma il momento di un viaggio. Il senso dell’arte come il divenire di una scoperta mai conclusa. Sono un artista eracliteo direi, “polemos” padre e madre di ogni cosa…forse la filosofia ha reso accettabili i miei conflitti umani troppo umani.

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Chiara: la tua produzione è particolarmente ricca e eterogenea ma vi si intravedono forse anche alcuni temi ricorrenti come, per esempio, la  crisi di identità dell’uomo contemporaneo e il suo spaesamento. Un uomo contemporaneo che stenta a riportare una natura tribale, a tratti animale, nei ritmi prosaici della contemporaneità. Trovi che ci siano echi antropologici nei tuoi quadri?

Paolo: antropologia del paleolitico intrecciata a quella metropolitana del presente…sì. Mi interessa sempre più che un lavoro sia sospeso fra il senso del passato e del futuro. Qualcosa di arcaico, della tribù originaria in grado di proiettarsi verso una visione futuribile. Potrei definirmi un archeologo dell’inconscio collettivo…uno psicoarcheologo. Indubbiamente cerco un senso di appartenenza a qualcosa perdutosi in eoni di tempo storico, sociale, ideologico. O più semplicemente cerco la polvere sotto il tappeto.

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