Intervista: STEFANO NOTTOLI “c’è un gatto sopra il tetto che cinguetta col cappello da cowboy”

Il 2016 vogliamo aprirlo in musica.

A fare gradita incursione nella casa di Disegnostorie è il caro Stefano Nottoli, cantautore e pianista toscano.

Innegabilmente ricco di talento, caratterizzato da uno stile personale, molto originale, a tratti onirico, decisamente raffinato. I suoi pezzi accompagnano chi ascolta in un mondo fuori dal tempo, popolato da personaggi surreali, poetici e teatrali. La fantasia si accende e la voglia di ballare si fa irrefrenabile.

Cantastorie, cantautore, musicista, attore, performer, docente di scienze presso le scuole superiori.

Un passato di diverse esperienze musicali, attraversando generi e stili diversi e arricchendo la sua gamma espressiva con sfumature ben rintracciabili nel suo lavoro.

Teneva i primi concerti in casa, lo strumento erano i coperchi delle pentole della mamma, la location la cucina. La platea era esigua e l’impianto audio non ancora all’altezza, così, solo i familiari potevano assistervi. Per nostra fortuna, a 16 anni fondava la sua prima band. Successivamente ha cambiato più volte formazione artistica attingendo alle più diverse tradizioni musicali italiane e internazionali, contemporanee e non.

Ha suonato in una band dal nome Guerrilla farming,  livornese, di ispirazioneReggae, con la quale, nel 2009, ha potuto creare il suo primo lavoro Naturale con la One step records.

Con il regista Stefano Nicoli, ha scritto colonne sonore e interventi musicali per diversi cortometraggi,  come Lucca the north-west corner of Tuscany.

 La sua discografia:

Ritagli di tempo – 2012 – Pinolaupitu Production
Lo chiamavano Parafango – 2015 – Pinolaupitu Production

Preziose informazioni sui suoi gustosi concerti potrete trovarle su

http://www.stefanonottoli.com/

Premio Magnino - 2015
Premio Magnino – 2015

Chiara: ascoltando questo tuo secondo album “Lo chiamavano Parafango” viene naturale pensare al teatro canzone, si può?

Stefano: Gaber l’ho conosciuto di più con il tempo, ho sempre avuto il fascino del teatro e questa volta ho voluto unire le due cose: c’è una parte recitata e una cantata. Ho un maestro di canto che lavora molto anche con gli attori.

Ho sempre suonato il pianoforte ma poi, a partire dal 2010 ho avuto tanta voglia di cantare e ho iniziato a farlo. Mi sono trovato davanti ad un bivio, ho capito che la strade davanti a me erano due: “o smetto di suonare o inizio a cantare”, mi son detto. Ho ripensato a che cosa mi piacesse davvero fare fin da bambino e l’ho fatto, così ho iniziato a cantare e mi sono reso conto che è ciò che voglio.

Ho avuto anche la fortuna di incontrare un maestro di canto con cui lavorare in modo nuovo. Non si tratta di esercitarsi direttamente sulla voce ma di preparare il corpo e la mente alla voce.  Creare le condizioni psicofisiche affinché la voce possa esprimersi al meglio. Così, dopo circa due anni, i benefici che questo lavoro mi stava dando sono diventati tangibili.

Si tratta del “Metodo Funzionale” che si avvale anche di momenti di meditazione e visualizzazione.

Chiara: sono entrata nel tuo sito ed è come entrare a teatro.

Stefano: il sito è curato dal mio batterista, è in realtà molto semplice, come la copertina di “Lo chiamavano Parafango”, che è curata sempre dalla stessa persona. Sono molto contento del risultato.

La teatralità, sì, mi appartiene…Una sera, suonando in un locale di amici, a Lucca, mi è stato detto di somigliare a Manolo Strimpelli, artista lucchese che ha lavorato anche con Capossela. Un grande complimento.

Mi piacerebbe lavorare in un teatro.

Posso dire di essere piuttosto egocentrico, passo da serate dove preferirei soltanto essere ascoltato a altre dove, al contrario, amo fare “caciara” divertendomi a coinvolgere il pubblico in tutti i modi.

Apro una parentesi riguardo al Lucca Summer Festival che, a volte, è molto criticato dalla maggior parte degli artisti lucchesi. Perché invece di limitarsi a criticare cosa non va, non iniziare a fare un Festival degli artisti lucchesi che possa avviarsi e poter, poi, camminare da solo? Se funzionerà, allora sì, in quel caso potremmo pensare anche a future collaborazioni con gli eventi più affermati come il Summer.

E’ importante fare qualcosa di concreto da offrire, qualcosa che funzioni e che possa essere una risorsa vera e non solo una “passerella” stile “next please”, dove ognuno ha solo 5 minuti per poi doversi sbrigare a lasciare spazio ad altri.

L’alternativa alla critica inutile è partire con progetti concreti… proposte diverse che mostrino di funzionare. Risorsa per la città e per il futuro. Qualcosa che possa crescere grazie al riscontro del pubblico. Se non c’è questo step iniziale da parte degli artisti, è difficile realizzare qualcosa visto che, come si sa, nessuno ti viene a cercare.

Premio Magnino - 2015
Premio Magnino – 2015

C: fare rete è fondamentale.

S: sì ci sono molti esempi… anche nella musica, pensiamo a Gazzè Silvestri e Fabi. Hanno in comune gli esordi della loro carriera a Roma, poi si sono dedicati ognuno ai propri percorsi per poi trovarsi di nuovo insieme.  Suonare con qualcuno con cui condividi un percorso comune e la stessa voglia di creare può essere una valida risorsa per crescere artisticamente. Una risorsa che dà qualcosa in più e di complementare allo studio tradizionale.

Chiara: per te è stato così?

Stefano: mi capitava quando suonavo nelle jam session. Tornavo a casa davvero arricchito. Erano serate dove ognuno di noi aveva la sua visione della musica da regalare agli altri, interpretazioni inedite di pezzi noti… vivere questo tipo di esperienza era un po’ come aver seguito dieci lezioni tutte insieme.

Lo studio è importante, il lavoro autonomo individuale pure, ma il confronto è fondamentale, ti metti in discussione, ti esponi e puoi attingere a risorse nuove.

Chiara: come sei entrato nel mondo della musica?

Stefano: credo di esserci sempre stato. Mio nonno suonava nella banda paesana, mio fratello aveva amici musicisti così  ho potuto sentire il richiamo di questo mondo e la forte voglia di viverlo in prima persona. Avevo una chitarrina e potevo divertirmi tanto provando a suonarla. Andavo a vedere la banda paesana dove si esibiva mio nonno e poi, una volta a casa, eccomi lì a marciare intorno al tavolo della cucina con i coperchietti delle pentole.

Negli anni ‘80 i primi video di Videomusic: mi avevano stregato, improvvisavo esecuzioni, allestivo “palchi” e immaginavo concerti di diecimila persone nella campagna dei dintorni. I giochi in tema di musica erano per me i preferiti e occupavano le mie giornate di bambino. Mio fratello mi aveva insegnato a suonare il flauto prima che andassi a scuola e quando arrivai in classe mi trovai avvantaggiato.

Festa del Vino - Montecarlo, Lucca - 2015
Festa del Vino – Montecarlo, Lucca – 2015

Su consiglio del mio professore di musica iniziai a prendere lezioni. Volevo fare il chitarrista ma nel mio piccolo paese,  Santa Maria a Colle, non c’era moltissima scelta… Per fortuna abitava lì vicino una maestra di pianoforte. Per praticità scelsi di imparare a suonare il piano ma con il progetto, in seguito, di realizzare il sogno della chitarra.

In realtà mi sono innamorato del piano e tuttora vi sono artisticamente molto legato.

Fin dall’adolescenza scrivo canzoni, avevo raccolto tanti testi, poi, il fiume vicino a casa mia esondò nel Natale 2009 e distrusse tutte quelle mie creazioni.

Ne sono ancora così dispiaciuto. Anche se molte di quelle canzoni ormai non sarebbero state forse  più proponibili erano comunque parti della mia storia, ricordi unici, irripetibili.

Ne ricordo in particolare ancora una: alle medie, nella lezione di italiano qualcuno lesse “a Silvia” uno dei capolavori di Giacomo Leopardi.  Io ne fui così colpito che appena arrivai a casa scrissi una canzone su quella poesia.

Non mi ricordo più le parole ma ho memoria soltanto che era scritta in rosso e sono sicuro che oggi avrei potuto riproporla. Purtroppo, nel 2009 non c’era l’abitudine di salvare tutto sul pc.

Chiara: scrivere testi non è come scrivere un diario o un racconto, si tratta di una competenza particolare.

Stefano: sì, è così, a volte vengono proposti corsi che promettono di insegnare a scrivere canzoni. Io non ne sono mai stato attratto, non certo per presunzione, bensì per paura di restare legato a degli schemi, temo di diventare troppo tecnico.

Il senso artistico non ha molto a che vedere con la tecnica.

I cantastorie, come nel passato, non sono persone di studio, ma hanno avuto la capacità di strutturare una loro naturale pratica, legata a un ritmo tutto personale. Amo sperimentare, seguire una mia evoluzione naturale.

Chiara: questa passione per la musica è naturale, nasce con noi o prende forma dalle nostre esperienze prima di bambini poi di uomini? Per te la prima ipotesi sembra più vera.

Stefano: ognuno può parlare per sé. Nel mio caso, sì, questa passione assume i connotati di un bisogno fisiologico… impellente come altri più prosaici!

Qualcosa che mi contraddistingue da sempre.

Un bisogno che scaturisce in modo naturale, non lo si può forzare, si costruisce a poco a poco, ha i suoi tempi.

Un albero che cresce segue il suo ritmo, le sue stagioni, se lo si vuole forzare non ne scaturisce niente o al massimo qualcosa di artificiale. Per me la musica è un bisogno più o meno forte a seconda dei momenti. Sono impulsivo e irruento penso una cosa e la vorrei fare subito  ma paradossalmente, in questo caso no.

Stefano Nottoli a Radioradicchio-  2015
Stefano Nottoli a Radioradicchio- 2015

Sono contento quando mi accorgo di aver creato qualcosa che non sta in una dimensione del tutto razionale. Quando chi mi ascolta apprezza quello che faccio perché è capace di evocare qualcosa che non si riesce neanche a spiegare. Pezzi che  “arrivano” e piacciono…un bambino che balla sulle mie canzoni, per me, è una vittoria! Significa che si è arrivati a una dimensione che non è razionale! Mio figlio di tre anni che vuole ascoltare “Il gatto Jack” ottomila volte mi fa contento perché vuol dire che sente in quella canzone qualcosa che va oltre le parole e la storia, qualcosa di magico. Tutti i bambini sanno coglierlo molto bene. Invece nei “talent” tutto è molto studiato. Con tutto il rispetto per i diversi percorsi che ognuno di noi può compiere, spesso, i “talent” sono un po’ fuorvianti, danno una visione molto lontana dalla realtà della musica e del lavoro artistico. Senza contare che tanti cantanti che vi partecipano rischiano di essere poi ricordati dal grande pubblico, per il resto della loro vita, solo perché sono arrivato secondi a “X Factor” e non per un loro particolare talento o per la specificità del loro stile.

Chiara: oggi ci si può avvicinare alla musica per tante ragioni: grazie a un maestro, a un amico, a internet o chissà.  Da cosa partiresti per insegnare la musica a un bambino?

Stefano: c’è un film che mi ha colpito molto, “Ray”, ispirato a Ray Charles e alla sua storia incredibile. All’inizio del film lui è già cieco e conosce un signore che sa suonare il piano. Quest’uomo coinvolge Ray bambino chiedendogli di suonare come fosse un parlare, proprio come si fa con la lingua parlata dove ad un suono si risponde con un altro suono. Questo è il modo in cui ha imparato Ray Charles. Credo che sia così con la musica.  Un linguaggio come quello delle parole: nella nostra vita seguiamo questo metodo, si parla subito senza prima aver imparato la grammatica, così credo sia meglio imparare a suonare, prima possibile, prima della teoria. Questo si afferma anche con la cosiddetta Audiation del Metodo Gordon che fa parte nella Music Learning Theory.

Mio figlio Riccardo e io a volte facciamo come in quel film.

Il pianoforte, a casa, è sempre aperto. Mi siedo davanti al piano e poso Riccardo sulle ginocchia, poi, inizio a suonare e lui batte le risposte ai miei “discorsi” musicali.  Si parla,  si comunica tra padre e figlio in un mondo di note. Nel futuro forse potrà scegliere di studiare musica in modo più sistematico o forse farà il calciatore. (ride)

Chiara: mentre parliamo la nostra voce comunica con il suo ritmo e la sua intonazione e non solo con le parole.

Stefano: certi dialetti hanno una musicalità più pronunciata di altri.

In passato tutti cantavano molto di più, oggi è diventata un’attività solo degli artisti.  Io non ho sempre cantato. Lo facevo in un gruppo dai 16 ai 18 anni poi ho smesso per un problema di salute e non ho più cantato fino al mio primo disco: avevo deciso di suonare e basta. Ero molto meno intonato di adesso.  Ho lavorato molto in questo senso e con tanta fatica posso dire di aver recuperato. Ho ancora molte “finezze” da acquisire e molto orecchio da raffinare ulteriormente, ma un certo miglioramento rispetto al passato, con tanta fatica e lungo lavoro sull’intonazione, c’è stato.

Chiara: ci sono state persone che hanno influito più di altre sulla tua crescita e ispirazione musicale?

Stefano: ultimamente, il lavoro di Bobo Rondelli o Vinicio Capossela mi ha certamente ispirato moltissimo. Sono molti, per me, gli ispiratori, tanti quante sono state le fasi del mio percorso.

Ho ascoltato tanta musica.

Un tempo, tanti anni fa, verso i miei vent’anni, ci sono stati i Subsonica e con la mia band facevamo la loro musica. Di certo, da quando ho deciso di cantare come solista,  Capossela mi ha ispirato molto.

Chiara: questa tua trasformazione nel tempo è evidente anche dai tuoi due album. Si può riscontrare molta differenza di stile tra il primo e il secondo.

Stefano: il mio primo lavoro “Ritagli di tempo” nasce dalla voglia di rompere con il passato, da una ispirazione ad un sound molto acustico, ci sono fisarmoniche e violini. Si possono riconoscere tracce del lavoro di Mannarino che apprezzo particolarmente per la sua scrittura dei testi e influenze di Capossela.

Il secondo album è nato da una voglia di rock che doveva essere un recupero di esperienze e passioni passate. Così, in “Lo chiamavano Parafango”, si sono potute sviluppare sonorità che richiamano i Doors ma anche ritmi raggae forse più nascosti, ci sono chitarre elettriche e organetti. La canzone “Sotto le lenzuola” inizia con un levare che può essere ricondotto al reggae e finisce con risonanze acustiche che riportano la memoria ai Doors.

E’ stato molto liberatorio, una volta raccolto il passato si è più liberi per il futuro.

Chiara: per quanto riguarda la canzone “Una giornata ordinaria”, c’è una bellissima voce femminile che interrompe molto l’andamento complessivo dell’album.

Stefano: si tratta di Elisabetta Maulo dei Betta Blues Society.  Canta la canzone creando un’ atmosfera molto diversa rispetto a quelle precedenti. Mi sono chiesto, a volte, se sia stata la scelta più giusta ma era ciò che sentivamo in quel momento sotto la spinta di diversi stimoli. L’album, già dal titolo, “Ritagli di tempo” svela la sua natura: nasce da pezzi nati in momenti diversi e sotto l’impulso di differenti suggestioni artistiche.

Per esempio “Paris” prende forma da incontri curiosi avvenuti durante un soggiorno parigino in casa di amici.

Chiara: vari incontri. Ma Leo esiste? I paesini intorno a Lucca sono popolati da personaggi che potrebbero nascondere storie come la sua.

Stefano: Leo è il personaggio protagonista, colui che tutti chiamano Parafango. Sono cresciuto vicino al manicomio di Maggiano. Lucca, la provincia, e tanti altri luoghi, nascondono personaggi simili. Ne ho visti svariati. Leo nasce un po’ da tutti quei personaggi a limite del surreale che possiamo incontrare in certi luoghi.

La storia di Leo nasce in un periodo in cui stavo scrivendo molto e raccontavo storie. Mi chiesero di scrivere un pezzo sulla bicicletta perché in quel momento passava il campionato europeo di ciclismo da Lucca. C’erano vari progetti in programma per farne un cd.

Tuttavia il pezzo restò lì per un bel po’ di tempo e non venne utilizzato per quello scopo. Continuai a scrivere altre storie, tutte parlavano di un personaggio e poi c’era “Che vuoi che sia”, dove descrivo la mia idea della morte. Ho creduto di poter raccogliere queste storie come fossero episodi diversi della vita di un unico personaggio e “Che vuoi che sia” come conclusione. Così ho fatto ed è nato l’album.

Leo esiste e non esiste: una volta, a cena, mio padre e mio nonno raccontavano storie dei loro tempi e proprio a quelle si riferisce “Alcolemico amore”: un loro vecchio amico dal fisico non troppo ordinario e le sue galanti avventure.

Chiara: avventure finché Leo non s’imbatte nel vero amore. Ecco Brunilde.

Stefano: mi sono ispirato al film Django Unchained di Tarantino. Brunilde è un pezzo che nasce da lì. Parla del protagonista del film, “sembra follia ma c’è magia”, è quella storia fino all’esplosione finale dove Django libera la sua compagna Broomhilda.

Chiara: la cultura musicale per un bambino che cresce in cosa può consistere?

Stefano: dobbiamo definire il campo: quale musica e quale bambino, in che contesto?

In termini generali, la musica è necessaria fin dalla gestazione, sempre più studi lo dimostrano. In seguito è meglio imparare a conoscere più musica possibile, avere più stimoli così da permettere ai bambini di scegliere, in seguito, su quali generi focalizzarsi.

La musica educa e di certo ce ne vorrebbe di più.

Gli stimoli da fornire, già a partire dalla scuola, più sono e meglio è.

Non possono essere limitati al “flautino”, come troppo spesso accade.

Credo soprattutto che sia necessaria una maggiore educazione all’ascolto, non è il problema di trovare una scuola di musica o di imparare a studiare uno strumento: le scuole di musica sono tante e non ci sono difficoltà in questo senso. Manca una educazione all’ascolto. Indispensabile come persone, come futuri ascoltatori e come musicisti.

Ho avuto la fortuna di ascoltare molta musica grazie a mio fratello che indirettamente, senza saperlo, ha influito moltissimo sulla mia formazione musicale, aveva 5 anni più di me e anche solo giocando, mi ha, involontariamente, ispirato e introdotto alla musica.

Stefano Nottoli - 2015
Stefano Nottoli – 2015

Chiara: quando scrivi un testo che fai?

Stefano: non ho uno schema ben preciso, ho paura degli schemi, non voglio sentirmi legato.

Arrivano generalmente insieme, testo e musica, ma, a volte, invece, no,  per esempio,  “Tango del mattino” nasce prima per la musica poi come  testo.

Quella canzone si riferisce alla storia dei nonni della mia compagna: lui di famiglia di modeste origini aveva potuto trovare scampo dalla guerra suonando in una agiata famiglia.

La sua amata, invece era ricca e nobile. Una storia osteggiata, di cui ritraggo una scena:  una passeggiata romantica che rappresenta la loro rivincita davanti a tutti coloro che li hanno derisi e non credevano nella forza del loro sentimento. Ultimamente scrivo molto buttando giù i testi e poi musicandoli dopo: questo sistema mi  fa sentire più libero.

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