Chiara Gasperini: “Cosa significa pazientare? Significa guardare la spina e vedere la rosa, guardare la notte e vedere l’alba… Alla luna nuova occorre tempo per diventare piena.”
Così scrive Elif Shafak ne Le quaranta porte, così ho pensato quando ho letto le intense e emozionanti pagine che ha voluto regalarci Roberto Kirtan Romagnoli.
Non perché la notte e le spine non siano accettabili, sono, anzi, necessarie, forse indispensabili, per consentire lo schiudersi del giorno o del fiore. Artifex, è colui che fa, che realizza arte. Colui che attraverso il suo agire del corpo-mente unisce pensieri, idee e materiali che prima si trovavano in un determinato stato e li riorganizza, offrendoli al mondo trasformati, creando nuove armonie, creando ciò che non c’era, perchè nello stato in cui si trovava prima non era percepibile. L’artista entra in comunione così profonda con la realtà, sa amarla così tanto, da fondersi con essa e fluendo ai suoi ritmi accordandosi con l’esistente, sa trasformarlo, alchemicamente, in qualcosa di leggibile e assimilabile da altri. Porta alla luce messaggi impliciti, celati, svelandoli, aprendo alla amorosa magia dell’esistenza.
Roberto Kirtan Romagnoli, è un artista la cui attività spazia in più ambiti d’interesse.
Dopo la laurea in Lettere Moderne, inizia il suo percorso di studio in campo etno-musicale, con maestri di risonanza internazionale. Si contraddistingue come giullare-istrione e studia come attore comico mentre, parallelamente, si afferma come liutaio e costruttore di percussioni del medioevo o etniche. Si specializza anche nel metodo musicale indiano, compiendo in India, Himalaya e in Africa vari viaggi al fine, anche, di avvicinarsi al loro mondo musicale e approfondirne le maestrie.
Il gruppo da lui fondato alla fine degli anni ’90, “Musica Officinalis”, si dedica alla musica medioevale, etnica e popolare anche attraverso progetti indirizzati alle scuole, con seminari e laboratori. Sulla pagina dedicata, si legge: “L’Associazione Musica Officinalis si occupa di ricerca, composizione, esecuzione, produzione e promozione della musica antica e dei popoli, di indagine etnomusicologica e di pedagogia e terapia della musica”.
“Ulisse” o “Pitagora”, due, per citarne alcuni, tra i suoi numerosi spettacoli, con la regia di Loris Seghizzi di “Scenica Frammenti”, sono lavori molto adatti anche alla scuola, capaci di rendere vivi e attualissimi, argomenti spesso affrontati in classe in modi poco vicini alla sensibilità adolescente. Roberto Kirtan è quindi anche un pedagogista e insegnante di musica, oltre che attore e musicoterapeuta. E’ cofondatore della compagnia “Zorba officine creative” e numerosi sono i suoi lavori con il “Teatro Agricolo” di Livorno.
Il modo migliore di conoscere Roberto è quello di leggere le sue parole o di assistere ad uno dei suoi spettacoli o ascoltare le sue svariate produzioni musicali. Esperienze che consiglio a chi non avesse ancora avuto questa grande fortuna e possibilità. Lascio la parola a lui, ringraziandolo di cuore per aver accettato con gentilezza e passione il mio ardito invito.
Roberto Kirtan: Oggi che è il giorno della befana è un giorno di storie da raccontare! Ed io è oggi che racconto la mia:
“Questa è la storia di un uomo che aveva un sogno. Sognava di suonare, suonare uno strumento, vivere la musica dalle sue mani.
Ma nel paese dove viveva nessuno gli credeva, e nessuno credeva che avesse le possibilità per farlo.
Così passò il tempo, passarono gli anni e quel sogno scivolò in un cassetto dove rimase in segreto nascosto per lungo tempo.
Finchè un giorno il cassetto si aprì ed il sogno se ne uscì volando via nel vento.
L’uomo si fece triste, ora non c’era più neppure il sogno nel cassetto. Il tempo continuò il suo cammino e così fece anche quell’uomo e a poco a poco si dimenticò del suo sogno.
Ma un giorno, un giorno come un altro, accadde qualcosa di incredibile.
Un amicò lo pregò di andare insieme a lui da un maestro musicista, per provare il ritmo della vita, il battito del cuore e la forza di quel suono.
L’uomo era perplesso ma poco dopo varcata la soglia della stanza vide un altro uomo. Da lontano non si capiva chi ben fosse.
Chi era? E cosa suonava? Mano a mano che si avvicinò l’uomo vide e riconobbe se stesso suonare un tamburo.
Quell’uomo, quel giorno, capì che il sogno non era volato via dal cassetto ma era corso ad avvertire la vita che mandasse gli uomini giusti, quelli capaci, quelli fiduciosi per far nascere un nuovo uomo ed un nuovo musicista.”
Ecco la storia che racconta la mia storia. L’ho scritta per me e per tutti. La storia di un uomo che cerca quotidianamente di realizzare il sogno.
E tutto parte tanto, tanto tempo fa quando ero bambino.
Il mio rapporto con l’arte da bambino è stato normale, come tanti bambini: mi piaceva disegnare, suonare, cantare, ballare e colorare. Quello che è stato speciale sono state due cose:
una maestra elementare illuminata,
ed un grave incidente che mi ha portato l’amputazione parziale del pollice destro.
La maestra Vera Masoli aveva una passione smodata per fiori, piante ed animali.
Io sono cresciuto in un piccolo paesino della campagna faentina in provincia di Ravenna, eravamo contadini.
E lì i fiori non mancavano! Così per tutti i cinque anni delle elementari tutti i santi giorni c’era da cambiare l’acqua ai fiori, recidere le parti esauste, curare le piante che avevamo in classe, l’albero piccolo che era stato preso il primo giorno di scuola e che sarebbe cresciuto con noi fino alla fine del quinto anno. Poi lo avremmo piantato nel giardino della scuola a ricordo e segno del nostro passaggio.
Ma vogliamo parlare degli animali?
La Vera non disdegnava gli acquari, quindi noi pescavamo nel Naviglio persici, carpe giapponesi, salamandre, girini, cobiti, e tritoni.
Questi esseri erano meravigliosi nel suo essere brutti! I girini diventavano nelle settimane rane e cosi le salamandre mostravano assieme ai tritoni la trasformazione da piccoli in adulti.
Le prime due ore in classe passavano a sistemare lo zoo e la giungla che si creava dopo qualche mese.
Tutto era posto su un’altra cattedra appositamente richiesta dalla Vera!
I turni cambiavano. Noi conoscevamo lo scorrere delle stagioni dall’alternanza dei fiori, così come il trasformarsi della vita con gli animali. Tutti avevano nomi. Erano sotto la nostra diretta responsabilità.
Così la Vera ci insegnava ad accettare la morte quando a volte arrivava inaspettata sui nostri animaletti.
Disegnare direttamente la natura, creare e imitare le forme che la natura ci offriva più che insegnarci ad essere grandi artisti ci insegnava ad apprezzare la bellezza, l’armonia ed il mistero del mondo. I colori passavano dal vero al fantastico con la coscienza di chi ha potuto osservare. Le nostre mani diventavano esperte non solo della bellezza e del segreto dell’armonia nascosta nella natura, ma anche del fare, del realizzare, del creare. Mani da pittore, giardiniere, veterinario, fiorista, mani che facendo accrescevano la nostra intelligenza. Il lasciarci fare e realizzare questa avventura è stato il grande regalo di questa misteriosa maestra.
Così il mio spirito e la mia intelligenza nonchè il mio cuore furono per sempre connessi all’arte di scorgere nella natura l’armonia,
di cercarla nella mia vita ed intorno a me, di accordarmi in continuazione con la vita che si vive.
L’arte, ormai, aveva intaccato per sempre la mia anima, la mia persona, il mio cuore.
Forse un giorno sarebbe diventata una necessità, ma questo non si sapeva e non aveva nessuna importanza.
Un artista non è una persona speciale. E’ la sua natura, così vuole l’universo che possa esprimersi e riconoscersi, ma non riveste una importanza speciale. Tra lui ed un ingegnere o netturbino non passa differenza.
Tutti sono fondamentali.
Il secondo evento fondamentale per l’arte è stato l’incidente che ho subito a cinque anni e mezzo.
Nella falegnameria dei miei nonni, causa la mia disubbidienza, presunzione, e sfortuna mi amputai la prima falange del pollice destro in una pialla. 20.000 giri al minuto. un colpo netto.
Non ci fu nulla da fare. Il dito era perso per sempre, nel 69 una plastica, ricostruzione o protesi o trapianto non era minimamente pensabile. Così cominciò la mia avventura nel nuovo mondo: il mondo senza un ditino!
Ecco il miracolo: il chirurgo che mi operò era un angelo del signore e dopo l’operazione così disse:
-Questo bambino ora è nelle vostre mani. All’inizio farà fatica con tutto. Avrà sempre la sensazione di non farcela, di non poter essere indipendente in qualsiasi azione che contempli l’uso delle mani.
Ma voi dovrete essere spietati e lasciare che si arrangi finchè non riesce nel suo intento.
Alla fine se creerete un monco sarà solo stata vostra responsabilità.
Questo bambino dovrà poter credere di fare tutto, di essere normale, di vincere la realtà e realizzare così le sue idee ed i suoi desideri.
E così proprio in quella falegnameria che mi aveva distrutto ho costruito tutta la mia personalità creativa, la mia vena inventiva e le mie capacità di mettere in pratica idee.
Proprio lì con il legno ho dato vita ai sogni. La falegnameria era il ritrovo con i miei amici. Abbiamo costruito di tutto: archi, frecce, pistole, fucili, scudi e spade, costruivamo i ponti ed i lanci per la gimkana con le bici, truccavamo e colorevamo le bici, inchiodavamo, segavamo, incollavamo le idee.
Fare, fare e fare…..divertirsi, realizzare, giocare e continuare a sognare.
Quel luogo di disgrazia è stato poi il luogo più incredibile della mia vita.
Se penso ad oggi che nella mia carriera di artista sono anche liutaio e cioè costruisco strumenti, beh, grazie davvero.
Dico sempre un dito è stato nulla confronto tutto quello che mi ha dato il suo non averlo.
L’arte è legata all’azione. Michelangelo all’età di sette anni preparava già la scagliola per i fondi degli affreschi.
Bisogna stare in bottega. Mi fanno sorridere gli artisti moderni che hanno le idee, ma poi per realizzarle non sono in grado!
Ah Ah, vogliono lavorare il ferro e non sanno fare, il legno e non sanno fare, il vetro e non sanno fare, ….. e non sanno fare…
Si d’accordo si può avere una idea ma è sempre la mano di un altro che la realizza.
Ma allora l’affinità con la materia? La sua conoscenza atomica? Insomma io ci sentirei lontananza….
Chiara Gasperini: qualche consiglio…
Roberto Kirtan: Consiglierei ai bambini di vivere nella natura, con la natura, sia vegetale che animale. Vivere fuori, salire e cadere dagli alberi, costruire le capanne, fare palle di fango e poi seccarle…..
Dovrebbero essere educati alle proporzioni, alle forme , alla vita che le produce e cambia come vuole.
Consiglierei ai bambini di non giocare solo con i video giochi, che oltre a rovinare loro la vista per sempre li rimbecilliscono.
Si la tecnologia come gioco ma non può sostituire la magia del mondo vivo.
Consiglierei ai bambini di stare all’aria fresca, di prendersi cura del mondo, di prendersi la responsabilità di essere nati, qui ed ora e dare una mano per evolvere il mondo umano.
Consiglierei ai bambini di non mangiare così male come mangiano e di non dormire così male come dormono.
Consiglierei ai bambini la meditazione, lo sport e la cura ed il lavacro del corpo.
Consiglierei ai bambini di essere amici degli elementi.
Per quanto riguarda il disegnare:
Si mi capita di disegnare! mi piace, fare i personaggi, le casette, le montagne, i fiori e le nuvole con stormi di uccelli neri nel vespero migrar! Disegno come bimbo, ma conserva spontaneità!
La matita, i pastelli Giotto, a cera, acquerelli…non mi piacciono molto i pennarelli!
Il disegno ammetto che è più raro nella mia quotidianità, ma non lo lascio.
Ascolto si, storie raccontate da altri. Mi piace moltissimo il racconto in sè. Mi piace seguire la trama, immaginarne l’evoluzione, vivere la vita del protagonista o dei personaggi attorno a lui.
Mi immedesimo, voglio che la storia vada in altre direzioni, mi diverto, a volte, a cappottare gli eventi.
Ma soprattutto, ogni cosa raccontata è una storia, anche i fatti di vita.
C’è gente che racconta la propria vita o quella altrui in maniere fantastiche, comiche, tragiche, esilaranti, intelligenti, piene di suspance…piene di come quella persona vede il mondo!
Racconto storie forse perchè ne ho sentite tante.
Forse perché la vita è un racconto e ogni racconto è un po’ come vivere, imprevedibile sino alla fine.
E dopo sto papiro egizio mi pongo una domanda:
L’arte è una necessità per l’uomo?
La risposta per me è si! Non lo ha costretto nessuno fin dalla notte dei tempi, ha cominciato a farlo da solo.
Sotto le stelle, attorno ad un fuoco l’uomo a cominciato a dare forma a ciò che forma non ha, cioè i suoi pensieri, le sue idee, le sue paure , le sue certezze, insomma tutto ciò che è “dentro” e non visibile agli occhi.
Perché come diceva il piccolo Principe.”L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Ma l’uomo ha sempre voluto vedere se stesso e conoscersi e così l’arte è la via.
Una via meravigliosa, fatta di mille peripezie, insidie, avventure, pericoli, scelte e conseguenze.
L’arte dà anche la possibilità agli uomini di toccarsi dove tocco non c’è. Si toccano l’anima, si parlano da anima ad anima.
Impossibile con qualsiasi altro linguaggio.
Quindi penso che fare arte non è direttamente connesso con chi di questa arte, qualsiasi sia, ne ha fatto il proprio lavoro, ma piuttosto il fare arte è affare umano, e di quegli umani che hanno dentro il continuo desiderio di creare per omaggiare la creazione stessa che incessante crea infinite forme finite. La passione ne è un segno evidente.
Ecco questo e tanto altro potremmo dire, ma al contempo non c’è più molto da dire se non che suonare, ballare, dipingere, scolpire, raccontare una storia….
….e fare un bel cesto natalizio, preparare una bellissima tavola, ed infine una stupenda pietanza. Per fare questo ci vuole arte.
L’arte di vivere…il succo è quello, l’averlo frequentato aiuta a viverlo nella quotidianità…perchè sei più nella vita di tutti i giorni che sul palcoscenico! Quindi impara a fare un piatto di linguine allo scoglio da urlo e sapere quale meraviglioso vino potresti abbinarci!
La nostra prima intervista del 2015 è all’artista Andrea Malgeri, fumettista e disegnatore naturalista.
Andrea, nasce a Torino circa 27 anni fa, e dopo aver frequentato il Liceo Artistico si iscrive alla Scuola Internazionale di Comics. Il suo impegno etico oltre al valore artistico ne fanno un autore unico nel suo genere e il suo messaggio merita di essere raccolto da quante più persone possibile.
Per me, data la stima che nutro verso il suo lavoro, avere il piacere di presentarvelo, è davvero un grande regalo di inizio anno.
Oggi, il fumetto, ancora troppo spesso, stenta a essere riconosciuto in tutta la sua importante valenza educativa.
Lunga è stata la strada (ed ancora non è conclusa) affinché il fumetto venga considerato educativo e adatto per la formazione infantile.
Di certo non può essere valutato attraverso gli stessi canoni della letteratura per l’infanzia perché ha caratteristiche specifiche tutte sue che uniscono più codici comunicativi che si integrano interagendo: testo e disegno, il tutto inserito in una partitura narrativa che deve rispettare un certo specifico ritmo.
Il fumetto è in grado di risvegliare la fantasia e la motivazione alla lettura di individui poco motivati aprendo la strada anche ad altri generi ed altre letture. E’ un genere accattivante e attraente.
A volte è proprio il fumetto che apre il soggetto verso la lettura risvegliando in lui la fascinazione verso il mondo narrativo.
Sono lieta di presentarvi Andrea Malgeri:
Chiara – Ciao Andrea, che rapporto avevi da piccolo con il disegno? Andrea – Si può dire che sono nato con la matita in mano! In effetti disegno da quando ho ricordi, è una passione innata che mi tiene compagnia da sempre, e quand’ero un bimbo erano frequenti i momenti in cui mi immergevo nel mio mondo di carta e matite colorate. Fin d’allora la mia predilezione era per il fumetto, volli imparare a leggerli a 4 anni perchè non mi accontentavo più di guardare solo le figure! E così a mia volta volevo emulare quei fumetti che leggevo, e così creavo le mie storie, preferibilmente lunghe, e incomprensibili a chiunque altro le leggesse…Negli anni successivi mi sono impegnato per rendere le mie storie sempre più comprensibili, e soprattutto…didattiche!
Chiara – Infatti c’è un messaggio molto chiaro nei tuoi fumetti… Andrea – Sì, da diversi anni a questa parte, da quando ho iniziato il percorso dell’autoproduzione, le storie a fumetti che pubblico sono il mezzo grazie al quale metto la mia passione al servizio dei miei ideali. Il messaggio è di tipo etico ed è molto chiaro, si parla di liberazione animale, e di conseguenza di liberazione umana, di un mondo più giusto; il mio intento è di arrivare ai più giovani, e questa è anche la sfida più grande: il linguaggio del fumetto mi aiuta, ma ad ogni nuovo lavoro è come se aggiustassi il tiro, alla ricerca della maniera migliore per rivolgermi ai ragazzi. Per esempio i primi lavori pubblicati (nella serie (R)Evolution), sono le storie romanzate di animali che vivono disavventure a causa di umani senza scrupoli; sono racconti ricchi di sentimento e azione, non mancano momenti un po’ più leggeri, ma in generale sono una lettura abbastanza impegnata. Nell’ultimo lavoro pubblicato (la serie Mamma Vega), invece, mi sono mantenuto su un tono più ironico e leggero: è un “rocambolesco ricettario vegan a fumetti”, dove le tristi storie degli animali compaiono ma sono stemperate dal resto della storia che narra di una cuoca ninja rock-star con super poteri che cucina fra una piroetta e un incantesimo (mi sono ispirato a mia madre, che tra l’altro è anche l’autrice delle ricette all’interno del fumetto!)
Chiara – Qual è oggi il rapporto tra bambini e fumetti? Andrea – Parlando del nostro Paese, le proposte di fumetti per bambini non sono tantissime; l’Italia ha una grande tradizione del fumetto, intesa però per lo più come fumetto seriale da edicola, e, in ogni caso il fumetto viene considerato ancora troppo spesso come un’arte di serie B… Il che per me è assurdo, data la grande considerazione che ho di questo mezzo, in grado di unire disegno e narrativa in una cosa sola.
Diversa è la situazione in Francia, per esempio, dove c’è tutta un’altra cultura del fumetto, più da libreria che da edicola, loro sfornano decine e decine di nuovi titoli ogni mese e naturalmente anche il settore per l’infanzia è parecchio nutrito. Poi va da sé, se un genitore ha il ricordo di una bella esperienza nell’esser stato cresciuto a fumetti, vorrà far in modo che sia così anche per i propri figli.
Chiara – In che maniera diffondi i tuoi fumetti?
Andrea – I fumetti da me pubblicati fino ad ora sono autoproduzioni, il che vuol dire che non ho un editore a sostenermi e mi occupo anche della distribuzione: partecipo a fiere, festival, faccio presentazioni, e poi con alcune associazioni animaliste sparse per il territorio nazionale ci diamo una mano a vicenda: loro distribuiscono a loro volta i miei fumetti tramite i loro canali, e io lascio loro buona parte degli introiti. Inoltre ho creato un blog: ecofumetti.wordpress.com dove si possono trovare le varie pubblicazioni ordinabili via mail, più altri lavori e illustrazioni inedite da visionare.
Chiara – A chi sono rivolti i tuoi fumetti?
Andrea – Non avevo in mente un’età precisa quando li ho scritti, ho lasciato che le storie fluissero da sé, ma mi rendo conto che il pubblico in grado di apprezzarli meglio sono i più grandicelli, diciamo dalle scuole medie in su. D’altro canto le scene che potrebbero “turbare” i più piccoli non sono poi così forti, paragonate a tante scene cruente di certe fiabe classiche…Forse nei miei racconti colpiscono di più anche perché qua i cattivi siamo “noi” esseri umani, al contrario delle fiabe dove il carnefice è quasi sempre il lupo.
Tra colline dolci di viti e ulivi, ville e macchia mediterranea, nonostante minacce varie e ripetute alla sua delicata, ricercata e pacifica bellezza, equidistante da Pisa e da Livorno, resiste Crespina. Un paese dal fascino ottocentesco e dal carattere decisamente raffinato dove l’arte è di casa, la si respira, la si vede, la si tocca grazie ad un passato da difendere e celebrare con sempre più convinzione.
Veniamo ai giorni nostri. Proprio da Crespina arriva Erika Gabbani, una metà dell’artista Fupete – l’altra metà è Daniele Tabellini –, ed è venuta a trovarci, con nostro grande piacere e gratitudine. La caratterizzano esperienze internazionali, cicli di mostre in Italia e all’estero, organizzazione di eventi e iniziative culturali, produzioni artistiche dal carattere decisamente hard rock, articoli, cataloghi, una grande professionalità e una recente e crescente attenzione al mondo dell’infanzia, con laboratori e interventi personalizzati.
Conosciamola meglio…
Ciao Erika, che rapporto avevi da piccola con il disegno?
La linea di confine sono state le medie. C’è stato un prima e un dopo. Prima ho disegnato sempre. Disegnavo per vari motivi. Disegnavo per passare il tempo, quando non mi vedevo con gli amici, disegnavo vestiti per le mie bambole e li producevo, disegnavo per la scuola, un sacco di cartine geografiche, un sacco di disegni a educazione artistica e un sacco di disegni/illustrazioni per esprimere meglio quello che volevo dire in un tema. Alle medie mi occupavo sempre di disegnare i titoli dei manifesti di scuola, ero richiesta per i caratteri cubitali e per le idee su come impostare le cose. Mi ricordo che feci anche il loghetto della classe, la 3A, due palme incrociate e un’amaca. Già sapevo cosa mi piaceva!! Adoravo la mia professoressa, mi dava un sacco di stimoli, mi mettevo ad osservarla mentre disegnava e imparavo così. Mi è sempre sembrato naturale disegnare e colorare, talmente naturale che era come respirare, era un tutt’uno per me. Poi le superiori… tan tan tan tan… volevo fare il Liceo artistico a Lucca, ma secondo i miei era troppo distante e soprattutto, la scelta, secondo loro, era poco pratica. Perciò Ragioneria, dove per sopravvivere allo schifo, mi inventai gli schemi di economia aziendale più belli della scuola.
Chi sei adesso?
Sicuramente sono un essere camaleontico e da una ventina di anni mi occupo di arte contemporanea, in vari modi e sotto vari nomi: Erika Gabbani, Gerjka, Erika Nasonero, Nasonero, Fupete, Cresperimentart, Drawingalive… Ho iniziato come curatrice d’arte a Crespina (PI), durante i primi anni di Università: da piccole mostre, volte a diffonde e promuovere l’arte, a ideare contenitori d’arte, come il festival CresperimentArt. Poi Roma, dove dopo la laurea in Storia dell’Arte, ho fatto un Master presso il MLAC – Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea de La Sapienza e ho conosciuto Daniele, la mia metà nella vita e nel lavoro. Abbiamo fondato insieme Studio Fupete, un ciclo di mostre di artisti italiani e internazionali, e uno studio di grafica, di cui sono design manager e producer. Sono iniziati i viaggi, il Messico, il Brasile e giri e giri in Italia ed Europa e il nostro ultimo festival internazionale Drawingalive. Nel frattempo, come campo base siamo tornati in campagna, soprattutto io, la adoro, e con Daniele abbiamo fondato Nasonero, il nostro studio associato, che questo anno compie 6 anni. Sono anche artista, per adesso molto timida, ma metà di Fupete, il nostro alter ego artistico, non solo come manager e curatrice come all’inizio, da un po’ di anni mi occupo anche di inventare e realizzare idee e progetti. Non c’è tutto quello che abbiamo fatto sui nostri siti web, ma il feeling e l’atmosfera ci sono tutti: www.fupete.com – www.drawingalive.net – www.nasonero.com
Fupete “Headempty”
Chiara, bambini, dislessia…
Con Chiara ci conosciamo dai tempi delle primarie, poi abbiamo avuto giri diversi ma negli ultimi anni ci siamo conosciute meglio, durante le nostre ore di Jogging in campagna. Io mi stavo occupando di corsi di disegno e lei era affascinata dall’arte, … parlando e parlando, grazie a Chiara, mi occupo di dislessia e bambini. Una delle attività che negli ultimi anni più mi affascinano. In quelle ore, passate con i bambini, mescoliamo di tutto, schemi, mappe, chiacchierate, video, ballo, teatro e tante risate… per me, anche questo è fare arte, è un altro lato della medaglia, uno bello.
Erika Gabbani e Daniele Tabellini, “Fupete”, Travelling
La nostra prima graditissima ospite è Arianna Lombardi: pittrice e musicista, oltre che insegnante di Yoga.
Le sue opere sono ricche di colori accesi, la forza delle linee e dei tratti, insieme al carattere dei materiali utilizzati, imprimono una connotazione personalissima che si impone con determinazione all’attenzione di chi osserva.
È possibile conoscere le sue numerose e varie attività direttamente sul suo sito
Che rapporto aveva con l’arte “Arianna bambina” e come si è trasformato nel tempo questo rapporto speciale?
Credo che fin da bambina sono stata “arte”.
L’arte è strettamente connessa alla capacità di trasmettere messaggi ed emozioni soggettive.
Un ricordo vivo del passato, riguarda la mia maestra delle elementari, che, lamentandosi con mia madre, le ricordava che ero troppo emotiva e che questa emotività in qualche modo andava calibrata!
Emotività!
E’ stata la mia forza nella vita; l’emotività ci connette con l’anima, le percezioni, le sensazioni: la vista, il gusto, il tatto, l’olfatto, l’udito…. tutti i sensi concorrono all’esaltazione dell’emotività e ad una sua rappresentazione nel campo che più ci rispecchia.
Devo dire che gran parte della mia produzione artistica, risale ai momenti più bui o di tensione che ho passato; le tele, come altri materiali, sono state le mie pagine bianche, dove mettere nero o colore su bianco le mie emozioni più profonde, dando espressione estetica alle esperienze personali.
Mi ricordo ancora bambina, ascoltando la primavera di Vivaldi, il foglio vergine e l’odore dei pastelli che un pò come le sirene di Ulisse, mi traghettavano lontano, dando forma ai suoni della primavera.
Che bellezza…. Avrei disegnato e suonato tutto il giorno!
Nell’età adolescenziale, la scelta di un’istituto artistico, mi ha permesso di approfondire tecniche varie e lo studio dell’arte.
E’ interessante notare, come lungo l’arco delle nostre vite, le esigenze di un ‘individuo cambino, la maniera di fare arte cambi, ma sempre arte resta.
Le sperimentazioni del ready made, stile Duchamp, lo studio tridimensionale utilizzando l’argilla, la grafica pubblicitaria, lo scrivere articoli su una rivista specializzata sulla passione del momento (il wind surf), tirare su un locale per la musica dal vivo, creando atmosfere underground, tutto è arte, trasmettere, appunto, dei messaggi.
Ad un certo punto il buio.
Anni di non produttività…… ma arriva lo yoga.
Tutto ciò che ho descritto fino ad adesso, traslato nelle pratiche.
Mettere su una lezione di yoga ha il medesimo iter di una composizione artistica, anche musicale: progressione, ritmo, pausa, spazio, colore, immaginazione, è pura arte, una vertigine di infinito!
La mia vita è arte, dal cucinare, dal coltivare le relazioni, da come prenderà forma il mio orto, da come sarà la mia futura casa.
L’arte è quell’ingrediente che da’ sapore alla vita, portandoci oltre i limiti, i pregiudizi, affondando nell’infinito, dove tutto è possibile.
E adesso?
Adesso insegno yoga e meditazione a tempo pieno, mi diverto a suonare il flauto e l’armonium, questa è la mia arte attuale; ma non ho abbandonato l’arte intesa come arte applicata, perché durante il periodo estivo, mi “diverto” a dipingere piccole miniature di paesaggi toscani e di città d’arte con tecnica mista (acquarello e china).
Devo dire la verità, quando dipingo, il tempo non esiste, mi calo nei colori che daranno forma alla miniatura e mi sento un tutt’uno con la mia anima, essere nella bellezza in quel preciso istante con tutta me stessa……. pura arte della meditazione!
Per me non esiste un unico linguaggio artistico e neppure un’unico codice di interpretazione, sta’ a noi trovare il giusto canale di espressione, per esprimere tutta la passione che è dentro di noi, che altro non è che passione per la vita.
In questa sezione interviste a artisti che volentieri hanno voluto raccontare di sé. Un modo per dialogare anche con il nostro artista interiore, bambino o adulto che sia.
Immagino di sedermi su un antico tappeto persiano, bellissimo e accogliente e come in una sera tra amici immagino di lasciarmi andare a ascoltare storie, emozioni e sogni.
Le nostre conversazioni riguardano l’arte ma soprattutto il rapporto con l’arte che avevamo da bambini.
Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.
Da quale agreste ballata della verde Inghilterra, da quale stampa persiana, da quale regiona arcana delle notti e dei giorni che il nostro ieri racchiude, è venuta la cerva bianca che ho sognato questa mattina? Sarà durata un secondo. L’ho vista attraversare il prato e perdersi nell’oro di una sera illusoria, lieve creatura fatta di un po’ di memoria e di un po’ di oblio, cerva di un solo fianco. I numi che reggono questo strano mondo mi hanno permesso di sognarti ma non di essere il tuo padrone; forse ad una svolta dell’avvenire profondo ti incontrerò di nuovo, cerva bianca di un sogno. Anch’io sono un sogno fuggitivo che dura qualche giorno di più del sogno del prato e del biancore.
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