Massimo Nicolaci è un artista catanese di grande talento che dopo aver vissuto a Roma e in molti altri luoghi ha ora scelto di risiedere a Berlino.
In seguito a una formazione di rilievo con artisti che hanno segnato la storia della fotografia Nicolaci ha iniziato a mostrare la sua personalità curiosa ed errante in grado di trovare un nuovo poetico realismo da offrire allo spettatore. Dalle opere di Nicolaci trapela tangibile il suo percorso culturale ricco e caratterizzato da una grande apertura alla pluralità delle esperienze.
Ha conseguito numerosi riconoscimenti per i suoi lavori e ha collaborato con prestigiose riviste internazionali come National Geographic o Rolling Stones. Nel corso della sua carriera ha lavorato sul set di “I tempi felici verranno presto” di Alessandro Comodin e pubblicato un libro “La Cerva Bianca”.
La fotografia riesce a creare punti di vista nuovi su ciò che è ordinario allentando la trama del reale. Siamo abituati a sguardi frettolosi, a stupirci solo del sensazionale ma questa forma d’arte invita a soffermarsi, a giocare con l’osservazione.
A tutti gli effetti si tratta di un’arte filosofica perché desta stupore attraendo l’attenzione su qualcosa che sfugge e passa via.
Certo non si tratta di copiare la realtà tout court ma si tratta di offrire visioni alternative, punti di vista a volte anche distanti dal reale comunemente inteso. La fotografia è in grado di decentrare e offrire spunti di critica culturale riguardo a ciò che siamo o pensiamo di essere.
In questo particolare momento storico dove è necessario reinventarsi e scoprire prospettive nuove da percorrere quest’arte ci è particolarmente cara.
Nei lavori di Massimo Nicolaci non è la scelta del soggetto straordinario a conferire fascino e narratività ai suoi lavori, ad esserlo è, invece, il modo di fotografare.
Scatti che lasciano affiorare racconti e che con delicatezza creano contesti dove la realtà si confida facendosi talvolta onirica.
Che si tratti di una stazione di notte, Ground Floor, di un lavoro sul set cinematografico o dei ritratti, il carattere dell’artista si contraddistingue in modo originale per un frame sempre ben riconoscibile.
Il fotografo sembra dissolversi per dare vita a inquadrature che tolgono il non necessario e lasciano affiorare immagini che vogliono essere svelate.
Non c’è nulla di artefatto o di fittizio, nulla di costruito ad hoc per ammaliare bensì la ricercata capacità di svelare e offrire.
La personalità dell’artista si mostra in particolare nei ritratti dove il protagonista indiscusso della composizione è lo sguardo che appare confidente e intimo, prossimo a chi guarda nella semplicità di un incontro umano.
La carnale interiorità di esseri umani che non sono lì per raccontare e farsi protagonisti ma per concedersi all’ incontro profondo con chi li guarda.
Tutto sta nella magia di quell’ incontro. Incontro non finalizzato a dire o ad indicare ma fine a sé stesso, preziosamente intimo e per questo anche in grado di andare ben oltre quell’immagine.
La possibilità di rispecchiarsi è ciò che conferisce a chi guarda un’ulteriore possibilità di incontro, questa volta con sé stessi:
«Quando guardi bene qualcuno negli occhi, sei costretto a vedere te stesso.»
Tahar Ben Jelloun
Come è nato il suo talento artistico?
La mia relazione con la fotografia è iniziata quando avevo 14 anni nel paesino dove sono cresciuto in Sicilia, a Caltagirone.
La fotografia non mi interessava più di tanto, cercavo un lavoretto estivo e lavorare con un fotografo di matrimoni mi sembrò un’ottima opportunità.
Nel 2006 l’incontro con Lorenzo Castore ha segnato una svolta nella mia vita, grazie a lui ho scoperto un tipo di fotografia diversa dall’ordinario, più personale e libera.
Da qui inizia il mio vero interesse per la fotografia e l’arte. Utilizzare la fotografia come mezzo di espressione, di ricerca e di crescita fu la scusa e il pretesto per uscire dalla mia isola e vivere una vita che non avevo immaginato prima.
Quali sono stati i fotografi che l’hanno ispirata di più nel suo percorso?
Nella mia formazione sono stati fondamentali fotografi come Lorenzo Castore e Michael Ackerman che sono stati i precursori del mio percorso fotografico. Della loro fotografia mi ha colpito principalmente la libertà che mi comunica e che si sente fortemente nelle loro immagini. Non per questo non mi sono sentito attratto da altri tipi di fotografia, più classici e che hanno fatto la storia del racconto per immagini come Robert Capa, Anders Petersen o Stanley Green. Ultimamente ho avuto l’occasione di lavorare con un fotografo che mi ha molto aiutato nel mio percorso, un maestro della luce: Paolo Verzone. Ovviamente non mi lascio ispirare solo da fotografi ma dalle arti visive in generale, i dipinti di Caravaggio e Francis Bacon come anche la scultura di Giacometti sono basi fondamentali per capire la potenza delle immagini nel mondo dell’arte.
- I ritratti sono la forma espressiva che preferisce?
Mi piace molto lavorare con il ritratto. Fare un ritratto non è semplicemente la foto di un volto è l’incontro, la condivisione, una relazione che avviene tra due o più persone, è la possibilità di entrare nella vita di qualcuno condividendo la tua esperienza con quella del soggetto fotografato. E’ un reale scambio.
Cosa racconta un ritratto per essere riuscito?
Un ritratto, dal mio punto di vista, racconta l’esperienza e il momento di condivisione avvenuto durante il momento della scatto stesso.
Se la fotografia ti porta oltre il volto o la persona in se il ritratto è riuscito.
Credo sia importante arrivare almeno vicino a un ritratto riuscito, non imparare a fare sempre buoni ritratti bensì allenare un modo per riuscire a farne di buoni.
I suoi lavori raccontano spesso di un altrove: geografico, psicologico, temporale. Si tratta di curiosità o è un modo per decentrarsi?
Credo che la fotografia abbia bisogno di una spazio fisico, geografico e mentale fuori dall’ordinario.
La curiosità sicuramente è fondamentale in questo processo, il senso di decentramento anche, come credo che una buona fotografia non sia importante quanto il processo e l’esperienza che c’è dietro di essa.
- La sua esperienza sul set per “I tempi felici verranno presto” di Alessandro Comodin ha offerto ispirazioni diverse al suo modo di lavorare?
Ho lavorato a stretto contatto con Alessandro per due anni prima della realizzazione del suo ultimo film “i tempi felici verranno presto”.
Lavorare con un regista e con uno staff mi ha molto colpito perchè a differenza della fotografia il cinema è un lavoro di squadra.
Circondarsi di persone, professionisti e non, credo sia molto importante, è un arricchimento, un nutrimento, questa è la principale ispirazione da quella esperienza.
- La società di oggi è in continua trasformazione: la fotografia deve porsi nuovi scopi per essere ancora una forma espressiva interessante?
Questa è una domanda molto difficile, non credo ci sia una risposta univoca.
Dal mio punto di vista, e non soltanto a livello fotografico, credo che la società di oggi si è molto arricchita e velocizzata. E’ una grande possibilità essere collegati con tutto il mondo, la rete e i social sono il nostro presente. La professione del fotografo si sta un pò perdendo ma ed è comprensibile nella nostra evoluzione.
Ma in questa evoluzione ci siamo persi dei pezzi, abbiamo chiuso gli occhi su alcune cose. Spero che la fotografia, come il cinema e le altri visive, possano andare a una velocità completamente opposta dal reale, tornare a essere più artigianali, più poetici, più curati perchè c’è bisogno di questo, io ho bisogno di questo e cerco di farlo nel mio piccolo.
- I bambini nella loro esperienza scolastica primaria e secondaria difficilmente sono iniziati o educati alla fotografia: pensa che questo sia un vuoto da colmare in campo formativo?
Questo credo sia un punto molto importante e interessante.
Non mi focalizzerei soltanto alla fotografia, credo che la scuola primaria e secondaria ha un ruolo chiave nella società moderna, in riferimento anche alla domanda precedente.
Sarebbe molto bello, e fondamentale per me, sviluppare la creatività di tutti i bambini, utilizzare le fotografia, il cinema e la pittura.
Sarebbe interessante tornare a sporcarsi le mani, divertirsi e farlo iniziando con i bambini.
- Chiara Gasperini