Proseguiamo il viaggio incontrando Carlo Pepi, notissimo critico d’arte, che ringraziamo sentitamente per aver risposto alle nostre domande con preziosa e sincera passione e con l’entusiasmo contagioso che solo il profondo amore per il proprio lavoro possono consentire.
Un esperto in campo artistico, un professionista appassionato che negli ultimi quarant’anni ha offerto il suo contributo con generosità e impegno da più parti, divendo notissimo grazie all’episodio dei “falsi” di Amedeo Modigliani rinvenuti nei fossi livornesi nei primi anni ottanta.
In quell’occasione, con coraggio, fu l’unico a sostenere dall’inizio che quelle opere erano false, anche se la maggior parte dei critici del tempo, compresi nomi come Giulio Argan e Enzo Carli, sostenevano il contrario.
Aveva ragione lui e da lì non ha mai smesso di sostenere le proprie opinioni anche se sono controconcorrente, anche se non sono condivise e vanno in direzione ostinata e contraria a quella dei più. Anche in seguito, quando sono state ritrovate le vere sculture di Amedeo Modigliani e quegli stessi esperti che avevano giudicato veri i falsi reputarono false ora le opere autentiche, Carlo Pepi le riconobbe subito come vere, a ragione. Per questo venne a subire un processo da cui uscì vincitore contro, tra gli altri, le Soprintendenze di Pisa e Roma e il Comitato degli esperti del Ministero.
“Lui di sé dice che ha un occhio straordinario, e difatti ce l’ha questo dono, come nessuno, ma io ritengo che codesta fisicità visuale sia riduttiva parlando di lui. Carlo vive l’artista che ama con un’empatia prodigiosa”. (Giuseppe Recchia, Nino Filastò, Carlo Pepi, il don Chisciotte dell’arte, Shakespeare and Company, Brescia, 2009, pp. 35).
Dice di sè il critico d’arte:
“Lo vedo dal segno se un’opera è quella giusta. L’opera falsa non vibra, suona sordamente come una campana stonata. Non c’è niente da fare, una campana quando è rotta, emana sgradevoli suoni!”
(Giuseppe Recchia, Nino Filastò, Carlo Pepi, il don Chisciotte dell’arte, Shakespeare and Company, Brescia, 2009, pp. 63).
Grazie alla sua feconda attività a tutela dell’arte, e’ stato invitato dal critico americano James Beck a far parte dell’Associazione Internazionale ArtWatch, (http://artwatchinternational.org/) per la tutela delle opere d’Arte ed è inoltre, stato nominato Direttore della Sezione falsi e contraffazioni.
Carlo Pepi è stato fondatore dell’Istituzione Casa Natale Modigliani, creandone un centro studi dedicato all’artista scomparso. Fece parte degli Archivi Legali Modigliani, dimettendosi nel 1990 e lasciando la Casa Natale di Modigliani non trovandosi in linea con alcune scelte degli altri membri.
La sua originalissima modalità di rapportarsi all’arte e di concepire il collezionismo ne fa un esempio vivente, più unico che raro di come anche oggi, nonostante tutto, si possa ancora amare qualcosa in modo disinteressato.
Sì perchè Carlo Pepi non ha con l’arte un rapporto da mercante, ma ne ha un rispetto come di cosa che ha un valore in sè, in quanto fine e non come mezzo.
Qualcuno lo ha definito “Il Don Chisciotte dell’arte” (Giuseppe Recchia, Nino Filastò, Carlo Pepi, il don Chisciotte dell’arte, Shakespeare and Company, Brescia, 2009): “Carlo Pepi è davvero un Don Chischiotte dell’arte, un personaggio unico e qualsi indescrivibile, a metà strada dalla realtà e dalla fantascienza, che sembra uscito dalla penna di uno scrittore di favole. Eppure così non è”.
La sua splendida villa vede migliaia di opere ospitate come si accoglierebbero amici cari a una festa.
La festa della bellezza, del vagare tra mondi, visioni, idee, paesaggi interiori e esteriori, sguardi, mani, vesti, buoi, terra e piante di colori e pennellate, che ti circondano da ogni dove emergendo dalle loro tele.
Vi assicuro che attraversare la collezione Pepi è davvero un’esperienza fortissima dal punto di vista emotivo, è un viaggio dei sensi e del cuore che stordisce quel tanto da far sentire pellegrini liberi in una vastità senza confini.
Ha collezionato circa 20.000 opere di oltre 2.000 artisti, nella villa attualmente di sua proprietà e appartenuta in passato al suocero di Giorgio Kienerk.
Le opere, come persone importanti cui si dà ospitalità, si attardano sornione sui letti, sui tavoli, spuntano furtive in bagno e poi le trovi vicine alle finestre a guardare fuori visioni di verdi campagne toscane e diresti che non siamo, qui nel 2015 ma che forse l’oggi, lì tra quelle tele e quelle campagne può essere un altrove, un punto dove converge il tempo in un presente densissimo.
Per avere maggiori informazioni sulle attività di Carlo Pepi rinvio al suo sito personale dove è possibile prenotare anche visite guidate nella sua casa museo ad una collezione senza uguali.
Per saperne di più sull’opera di Pepi e avere l’elenco delle sue svariate pubblicazioni si veda:
http://testedimodigliani.xoom.it/carlo_pepi.html
www.collezionecarlopepiarte.it
https://carlopepi.wordpress.com/
http://www.iscomar-spp.netsons.org/123/comenius08/index.php?mod=01_Pittura/Carlo%20Pepi
1) Chiara: quale è stato il suo rapporto con l’arte da bambino, come si esprimeva, quali forme prendeva?
Carlo Pepi: abitavo in Val d’Orcia e con un mio amico trascorrevamo del tempo a osservare le bellezze del paesaggio. Il paesaggio è collegato all’arte, osservarlo indica una predisposizione naturale all’arte.
Con un mio amico, a primavera, mentre tutti gli altri nostri coetanei giocavano a pallone, noi osservavamo il paesaggio da dietro al Duomo di Pienza: un’attitudine che in entrambi si esprimeva in questo modo. Era un qualcosa di innato, naturale, nessuno ci chiedeva di farlo.
Credo ci sia un forte collegamento tra paesaggio, bellezze del paese antico e amore per l’arte.
Anche il mio amico, infatti, si è poi dedicato all’arte occupandosi del Teatro Povero di Monticchiello per quanto riguarda i testi e la regia.
Mentre gli altri giocavano a pallone noi, da dietro al Duomo di Pienza, preferivamo contemplare il paesaggio.
C’è un grande collegamento fra il paesaggio naturale, il paesaggio del luogo dove si vive e lo sviluppo della propria predisposizione artistica. Si tratta di una predisposizione naturale all’arte e al bello, c’è chi la possiede in modo maggiore rispetto ad altri, ma il luogo dove si vive può essere molto importante per concretizzarla. In Val d’Orcia eravamo circondati dalle Madonne Fiorentine, molte se ne potevano trovare a Pienza, ma non mi interessavano molto all’epoca, tuttavia erano lì, intorno a noi. Sentivamo molto quel fascino dell’antico grazie a questo istinto così forte e presente in noi che poi si è concretizzato in modi diversi.
2) Chiara: cosa lo ha spinto a portare avanti questa sua attività di collezionista?
Carlo Pepi: dal capire che potevo avere la possibilità di acquistare e diventare proprietario di quelle opere che tanto apprezzavo, per poterne disporre, vederle intorno a me, averle in casa, vicine.
Mosso dall’istinto, dal piacere.
Quando sono venuto a Crespina sono sempre stato un ragazzo curioso, mi piaceva parlare con gli anziani per reperire le notizie del passato e dei personaggi del passato.
Venni a sapere che una certa anziana di nome Betsabea era stata la governante dei noti pittori Macchiaioli, i fratelli Tommasi, lei era parente di Rita Cheli che gestiva un tabacchi nella piazza di Crespina. Io allora me ne interessai tantissimo e chiedevo informazioni su di loro, sulla loro vita.
Un altro anziano, Gigino il Sarto, disse che suo padre era stato il giardiniere del pittore Augusto Rey.
Da lui seppi che Rey era parente dei fratelli Tommasi, aveva sposato uno sorella dei Tommasi.
Allora mi raccontò che un giorno, il Rey pittore, passava nelle sue terre, a Gramugnana di Lari, dove molti operai coltivavano la terra lavorando ad una vigna nuova. Il Rey, in calesse, incuriosito dalle loro attività, chiese loro cosa stessero facendo.
Loro ingenuamente, non sapendo con chi, in realtà, stessero parlando, (perché abituati a trattare con suo fratello), gli risposero che stavano facendo dei lavori in attesa di grandi rinnovamenti che dovevano seguire l’arrivo di una imminente, cospicua eredità.
Il Rey capì che stavano aspettando la sua morte, e che speravano arrivasse presto. Capì che si auguravano la sua morte e infastidito, amareggiato e deluso, non lasciò nulla al fratello che gestiva quei contadini ma in seguito a quell’episodio decise di devolvere tutta l’eredità alla Casa di Riposo di Livorno.
La Casa di Riposo Giovanni Pascoli di Livorno ha, infatti, ricevuto in eredità da Augusto tutti i quadri di Villa Rey anche la Villa Rey stessa di Bugallo che poi venne successivamente venduta.
Io raccoglievo tutte queste storie, le ricreavo, ricostruendole e le mettevo in un giornalino al ciclostile che si chiamava il “Riccio” e poi cambiò nome nella “Civetta”.
Mi occupavo del giornalino insieme al parroco di Crespina appena arrivato Don Luciano Rita.
Tuttavia, a quei tempi questi fatti non interessavano alle persone. Purtroppo. La gente aveva altre preoccupazioni: doveva sopravvivere, erano per lo più contadini.
Mi trovai a differenziarmi sempre più dagli altri e senza il consiglio di nessuno, mi interessai al mondo dell’arte e degli artisti, allontanandomi dalle diverse attività dei miei compaesani.
Mi occupai anche della fondazione della Pro-Loco di Crespina con un certo Giorgio di Poldina.
Andai proprio con lui a Pisa, all’Ente del Turismo, si fece il viaggio con la sua automobile poiché io ancora non l’avevo, e così fondai la Pro-Loco di Crespina.
Successivamente, io me ne distanziai perché mi interessava l’arte e gli altri invece lavoravano, giocano a pallone, avevano una vita caratterizzata da interessi differenti dai miei. Io studiavo ancora, ma per un po’ mi occupai di alcune iniziative con Giorgio di Poldina, che gestendo un negozio di stoffe con la madre poteva disporre di più tempo libero.
Potemmo realizzare tante idee, tra cui la commedia teatrale “L’acqua cheta”, di Augusto Novelli, che ebbe un discreto successo, al tempo. A Crespina se ne parla ancora.
Un’opera che risultò fatta molto bene, grazie a tutti gli attori crespinesi.
Il maestro di musica Arrighi dirigeva le prove e si impegnò molto dedicando ogni sera il suo tempo alla realizzazione di questa opera e con lui anche Ivano Sgherri fu molto importante per la commedia.
All’epoca mi interessavano tanto anche la musica, l’opera, il canto, le canzoni.
Mi occupavo di musica con mio fratello Giuseppe, terreno fertile, che si faceva ben contaminare dalle mie passioni. Sua figlia, Maria Luisa, diplomatasi al conservatorio di La Spezia come Soprano ha proseguito, portandola avanti, questa nostra predisposizione alla musica e al canto.
In quegli anni pensavo che l’arte fosse irraggiungibile, invece, non era così, perché pochi avevano questo interesse.
Molti artisti divennero miei amici e iniziarono a regalarmi opere.
In seguito grazie al mio lavoro potevo comprare le opere che desideravo, e con il tempo ne acquistai sempre di più, concretizzando la mia passione.
3) Chiara: arte e denaro… lei è noto, oltre che per la sua collezione d’arte tra le più vaste esistenti, anche perché non ha mai fatto dell’arte un mercimonio non l’hai mai utilizzata e sfruttata a fini prettamente economici. L’ha amata come fine e non come mezzo per ottenere altro. Cosa puoi dirci di questa scelta così unica e nobile quanto ammirevole?
Carlo Pepi: io ho fatto così perché questa è la mia passione, non volevo diventare un commerciante d’arte, un mestierante, non volevo guadagnarci. Io avrei potuto farlo, comprare e vendere… Ma io, una volta comprata un’opera, non riesco proprio a separarmene.
Sì, è vero, questo denota la necessità di possedere ciò che mi piace di più e potrebbe essere interpretato anche come un aspetto negativo ma se non ci fosse questo desiderio di possedere l’arte chi comprerebbe le opere ai poveri artisti?
Cosa ne sarebbe di loro se tutti volessero solo vendere e comprare…e nessuno possedere davvero le opere?
Per chi, allora, gli artisti creerebbero le loro opere?
Nel mio percorso mi sono occupato di molti casi plateali, sono stato chiamato in controversie in tribunali, mi sono stati chiesti pareri sull’autenticità di certe opere, tante volte. Io ho sempre tenuto tutto questo come un hobby e come si tiene una cosa collaterale, occupandomi di arte senza volerla far diventare attività economica e professionale.
Io non ho dedicato all’arte tutto quel tempo che la gente pensa.
Ho sempre avuto incontri favorevoli, fortunati, per la mia collezione tutto è sempre stato un percorso in discesa. Soprattutto perché l’ottocento non piaceva a nessuno ed eravamo in pochi ad occuparcene, dal momento che, secondo me, in pochi hanno capito la portata artistica di quel secolo.
Inoltre, a me piacevano i disegni. Per me sono la prima impressione dal vero, sono più importanti dei quadri che invece possono seguire il condizionamento del mercato e del pubblico.
I disegni sono la prima impressione, sono il vero.
Mi interessano i disegni, perché ritengo che rappresentino la piena libertà dell’artista.
Dopo il disegno c’è l’opera dello studio molte volte una copia dell’opera vera e propria compiuta nel disegno. L’opera, molte volte, è una copia del disegno. Disegno come originale, azione spontanea, che fa trasparire l’anima dell’artista senza compromessi.
Il quadro, invece, è, a volte, influenzato dal mercato.
Io ho avuto questa fortuna che i disegni non piacessero a nessuno, anche se ciò, allo stesso tempo, mi ha sempre portato molta amarezza poiché nessuno apprezzava ciò che per me è, invece, fondamentale e importante.
Io non mi faccio pagare per i pareri che mi vengono chiesti continuamente, per gli interventi che presto in questioni importanti, come nei tribunali, per esempio.
Me ne occupo gratuitamente.
Un mio record: sono arrivati a offrirmi due milioni e mezzo di euro per un’opera.
Nella società comune, spesso, chi dice quello che pensa, chi non gareggia, chi vive contro corrente, rema rema ed è sempre lì…il grosso fiume da risalire semmai lo riporterebbe alla foce…ed è già tanto se non si fa riportare indietro dalla corrente.
4) Chiara: il suo è un modo alternativo di approcciare l’arte, non fatto di compravendite multimilionarie, ma amore puro per le opere un modo che dovrebbe avere più risonanza e fungere da esempio.
Carlo Pepi: il mondo funziona in un altro modo: se una collezione costa tanto allora tutti ne parlano bene, la lodano e pensano che sia meravigliosa.. il pubblico ragiona spesso in funzione dei soldi, dei prezzi.
Tuttavia il valore monetario di una collezione non corrisponde necessariamente al suo valore artistico.
Esistono opere dimenticate e ignorate che valgono artisticamente molto.
Purtroppo è così, se si sfugge alle logiche dominanti, alle logiche del mercato anche se un artista è valido e bravo viene messo in un “cantone”.
E’ sempre stato così e l’arte non è rimasta indenne da tutto il resto.
Io a volte mi rassegno, ma poi la passione è più forte e scatta di nuovo tutta la motivazione innata che mi caratterizza da sempre.
5) Chiara: arte e creatività svolgono un ruolo fondamentale nell’ambito dell’evoluzione infantile, tuttavia, per molti versi, entrambe sembrano essere oggetto di scarso interesse da parte delle istituzioni e soprattutto della scuola. Cosa ne pensi? Quali pensi possano essere i motivi di questo squilibrio formativo?
Carlo Pepi: la creatività è un settore che sarebbe importantissimo.
Il pensiero, l’andare avavanti, sono fondamentali ma è anche vero che chi più precede gli altri e va più avanti, più è innovativo, più è destinato a essere solitario perché la gente non lo capisce.
Tutti i grandi artisti sono sempre stati vittima di molte disavventure, perché non sono stati capiti se non, a volte, soltanto dopo morti.
Ma è fondamentale la creatività, il fare cose nuove, inventare, dare spazio ai nuovi pensieri.
Tutto questo va in parallelo alla scienza, come in una gara, seguendo la predisposizione naturale ad andare avanti, il genio innato che avevano i grandi scienziati, il cercare sempre di andare oltre, l’arte vera deve essere innovazione se no è artigianato.
6) Chiara: lei ha avuto modo di conoscere molti artisti. Ha potuto riscontrare se ci sono condizioni educative, formative ricorrenti nelle loro storie che permettono ad un individuo di poter sviluppare e di lasciar fluire la sua parte più creativa al meglio? Avvicinare l’arte ai bambini potrebbe essere un modo di evolvere socialmente?
Carlo Pepi: i veri artisti sono impulsivi e anarcoidi, non si possono irreggimentare, non sono imparentati, sono liberi da qualsiasi condizionamento.
Non trovo un abbinamento con l’educare: nella scienza è più facile e più necessario collaborare, sapere cosa è stato fatto prima, fare ricerca, nell’arte no, anche se ci sono correnti, movimenti imparentati, l’arte è una terra libera, è individuale, ognuno si esprime in piena libertà e autonomia.
Si possono proporre argomenti ma poi ognuno lo studia e ricerca in piena autonomia, è se stesso fino infondo.
Il parallelo con l’educazione c’è poco secondo me, uno è se stesso se è artista.
La scuola è pericolosa nell’arte perché può inquadrare e tarpare le ali.
Io ho molti dubbi relativi al rapporto tra la scuola e l’arte e molti grandi artisti che decidono di diventare “normali” magari acquisiscono risonanza accademica ma perdono originalità e valore artistico.
Le scuole imprigionano la mentalità, stringono il pensiero attraverso professori a volte ottusi che non possano fare molta strada altrove.
Se qualcuno ha una predisposizione è meglio lasciarlo stare.
Incoraggioralo, dirgli “fai”, “vai”, ma lasciarlo libero.
A Crespina ne è un esempio l’adolescente Orso Frongia, ( ha già varie mostre all’attivo), che in pochi tratti è capace di riassumere l’anima di un luogo.
L’arte non si insegna, si possono dare principi iniziali, incoraggiare, la scuola deve incoraggiare, scoprire chi ha certe passioni e far sì che le coltivi e trovi e abbia lo spazio per farlo.
Il rischio, altrimenti, è sempre quello di entrare nel campo dell’artigianato e non in quello dell’arte, della creazione artistica.
La scuola rischia di rendere omogeneo tutto.
Mentre è necessario diversificarsi dallo standard.