Carla Pampaluna è un’artista molto originale che ama esprimersi attraverso vari canali come la fotografia e il video in primis ma anche attraverso fumetti e disegno.
Lombarda di nascita ma ormai da tempo toscana, si forma principalmente all’Accademia di Brera poi all’Università di Pavia per continuare con molti altri corsi in ambito cinematografico. Il risultato è una personalità artistica sui generis che sembra stare stretta dietro alla macchina fotografica o alla telecamera cercando altre vie per lasciare uscire messaggi urgenti e emozioni traboccanti.
Impegni in ambito sociale l’hanno portata a partecipare a festival internazionali riguardanti l’arte e la disabilità. Altri lavori importanti riguardano la formazione della prima infanzia e il tema dell’ecologia. Le tematiche relative all’identità di genere e all’istanza femminista sono anch’esse nodali nel suo lavoro.
Oggi Carla, nelle sue risposte, lascia trasparire molte delle motivazioni profonde che alimentano il suo progetto artistico che ripercorre con noi dall’infanzia ad oggi.
In queste pagine del suo sito personale si può godere di un piccolo assaggio su questa personalità artistica, poliedrica e socialmente impegnata.
Chiara: come si è sviluppato il tuo talento nel tempo?
Carla: nella mia famiglia tra strumenti per disegnare, macchine fotografiche, libri, riviste d’arte e di fumetti e cineprese 8mm ho avuto fin da appena nata tutti gli stimoli possibili.
Sono stata sempre incentivata a seguire le mie inclinazioni.
Non mi sembra però di aver mai manifestato un vero talento per il disegno, anche se ho fatto poi un percorso di studi artistici.
Il vero talento, la passione, l’ho compreso intorno agli 11 anni vedendo, per caso, la prima trilogia western di Sergio Leone. Fu una vera folgorazione. Ricordo di aver pensato che quello era il sunto perfetto delle cose che mi piacevano ma che da sole sentivo non essere complete: il segno, la scrittura e la musica.
Scrissi subito le prime sceneggiature, con un istinto anche per la forma tecnica che ancora adesso mi stupisce.
Da quel momento l’immagine filmata, il racconto attraverso l’immagine, sono il mio percorso.
E anche se un po’ l’indole, un po’ le vicissitudini del vivere mi hanno rallentato, distratto, non ho mai smesso di seguire questa strada; e ormai da quasi vent’anni è il mio lavoro.
Tutto il resto nasce da questa passione: la fotografia e il fumetto ne sono una diretta conseguenza, anche se per il fumetto ho aspettato fino a quest’anno per riprendere le fila che avevo abbandonato da bambina.
Chiara: che tipo di bambina eri riguardo alle diverse forme d’arte?
Carla: molto curiosa. Sono sempre stata un’osservatrice silenziosa, lo sono anche adesso, e ho sempre voluto sperimentare tutto quello che vedevo fare intorno a me. La fiducia che mi veniva data nel permettermi di fare le cose che volevo senza paura di venire rimproverata nemmeno nello sbaglio, ha creato in me un forte senso di importanza in ogni cosa che facevo. Per tanto tempo questo è stato anche un freno. Un senso di autocontrollo eccessivo nella ricerca di risultati soddisfacenti, che però non superavano mai il mio severo giudizio.
Ci è voluto molto tempo per allentare questa morsa.
Chiara: quali attività pensi che possano aiutare maggiormente i bambini a esprimersi creativamente?
Carla: qualunque! Lo scorso anno ho girato un documentario in una sorta di asilo nel bosco, nel nord Italia, dove ho visto bambini entusiasti nel battere chiodi con il martello nelle assi di legno. E poi da lì passano a cercare un altro pezzo per poi comporlo con il primo, hanno intorno gli strumenti per incollare, tagliare, colorare e creano senza pregiudizio seguendo quello che hanno in testa. Basta lasciarli fare, senza intervenire.
E aggiungerei che è proprio facendo, costruendo senza condizioni esterne, “adulte”, che si può diventare grandi senza perdere la gioia delle cose da fare, del gioco anche nella costruzione “seria”.
Da adolescente mi ripetevo spesso che dovevo stare attenta a crescere senza diventare rassegnata, come mi sembrava fossero molti degli adulti che avevo intorno. Quell’idea mi ha accompagnata sempre, la sento ancora come necessaria. La creatività dei bambini è la stessa creatività dell’adulto che non si è dimenticato di essere prima di tutto un bambino che guarda per la prima volta le cose, che per la prima volta le prova.
Ancora adesso (ormai quasi cinquantenne!), non resisto alla tentazione di ritagliare e colorare i rotoli interni della carta igienica creando dei personaggi che vanno ad ingrandire la schiera che mi porto dietro da quando ero ragazzina! Lo faccio con la stessa idea di gioco che mi ha guidato nel realizzare i primi modelli. Questo non vuol dire che non ci debba essere uno studio, una scelta, una ricerca. Ma che questa parte razionale deriva da un istinto proprio che non va dimenticato.
Chiara: come sei arrivata al fumetto?
Carla: a parte il percorso naturale per chi come me vive del racconto per immagini, e il fatto che leggo tanti fumetti perché mi piacciono (ci sono stati e ci sono autori straordinari, veri artisti, che raccontano storie utilizzando il fumetto), avevo in realtà abbandonato le poche tavole fatte da ragazzina. Nell’ultimo anno, complice anche la pandemia e le sue limitazioni, mi sono ritrovata ad aver voglia di ricominciare a prendere in mano la matita.
Finora il disegno era stato relegato allo strettamente personale, intimo (ho cartelle piene di autoritratti, storyboard per film mai girati…), ma c’erano storie che avevo voglia di raccontare e che mi sembrava non fossero adatte alla grammatica del cortometraggio. E poi in casa c’è il mio compagno che disegna benissimo e capita che collaboriamo (abbiamo firmato insieme la regia di due cortometraggi). Abbiamo scritto una prima storia insieme, e avrebbe dovuto disegnarla lui, ma siccome tergiversava ho deciso di buttarmi e da lì non sono più riuscita a fermarmi… anche se lo utilizzo più come una scusa per il racconto, piuttosto che per il disegno in se, che rimane sempre un po’ subordinato alla trama e in cui manca ancora una ricerca strutturata.
Chiara: il tema del femminile è ricorrente nel tuo lavoro
Carla: sono stata cresciuta in un ambiente in cui non c’erano differenze tra maschio o femmina. Almeno non espressamente dette. Nessuno in casa si è mai sognato di dirmi che non potevo fare una cosa perché ero una bambina o una bambina femmina.
Però poi esci in cortile a giocare e il gruppo dei maschi non ti vuole nelle gare in bicicletta mentre a scuola le bambine giocano con le pentoline e vengono spesso condizionate a seguire certi modelli. Ho sempre fatto una gran fatica a capire certi meccanismi. E mi sono sempre opposta ad accettarli.
E’ ovvio che poi ti fai delle domande, rifletti. Per me è un punto nodale, insieme a quello della memoria di sé e del proprio percorso.
Essere donna è una caratteristica che mi qualifica ma prima di tutto sono un essere umano. Mi sembra molto più sano rapportarsi agli altri in questi termini, prima di altri. Anche perché le cose che sono importanti per ogni individuo sono diverse.
Se la società che abbiamo intorno non ci imponesse degli stereotipi quale sarebbe l’importanza, rispetto al proprio fare, alle proprie aspirazioni, dell’essere donna o uomo?
Chiara: credi che ci siano più difficoltà rispetto al passato nell’essere donna?
Carla: i problemi e le difficoltà per una donna nata anche solo un secolo fa erano certamente più materiali; trappole e strade segnate da cui uscire era difficile e doloroso.
Indubbiamente oggi, inteso come ventunesimo secolo e in questa parte di mondo, è possibile essere donne più libere e più indipendenti; ed è possibile esserlo senza che questo diventi un problema. Ciò è possibile perché ci sono state delle lotte forti, delle prese di posizione, perché ci sono stati degli scontri e delle vittime. Che hanno portato a cambi di costume essenziali.
I condizionamenti e i pregiudizi con cui ancora cresciamo, donne e uomini, ci obbligano ad occuparci di quello che, invece, è in effetti ancora un problema: è ancora difficile essere donna, anche in questa epoca, anche in questa parte di mondo. E ci si ritrova a sprecare un sacco di tempo a combattere stereotipi e violenze. Nel senso che quel tempo sarebbe bello poterlo usare per fare altro.
Chiara: i traguardi della tecnologia aiutano certe forme d’arte come la fotografia o i video?
Carla: dipende dal tipo di percorso che si è scelto.
Per me sono stati fondamentali. Anche se indubbiamente mi ha fatto un gran bene crescere con il rigore che imponeva la pellicola nella fotografia per esempio, senza la possibilità di lavorare in modo professionale con i mezzi digitali oggi sarei ancora molto indietro. Sarei in balia della mia pigrizia e della mia timidezza. E non avrei assolutamente i mezzi economici per fare quello che faccio.
Chiara: quali sono i tuoi progetti futuri?
Carla: ho scritto la sceneggiatura di un cortometraggio che non vedo l’ora di girare, disastri mondiali permettendo…!
E poi ovviamente ho ancora alcune storie a fumetti in programma. Mi sto spostando sul fronte dei sogni, altro tema che mi accompagna da sempre.
Sono impaziente anche di poter ricominciare a fare fotografie in mezzo alla gente. I paesaggi dalle finestre di casa sono bellissimi ma credo di averne abbastanza per ora!