Non è il titolo tratto da un giornale apparso nell’ultimo film di fantascienza. Accade veramente, nel 2016, a Roma. Era già accaduto, di recente e non centinaia di anni fa, che opere di artisti, ritenute offensive, venissero “censurate”, uso volutamente una parola forte poiché non riesco a trovarne una ugualmente idonea.
Dal tam-tam mediatico che a livello mondiale ne è seguito, ormai sappiamo tutti che cosa è accaduto, dove e quali sono state le motivazioni addotte a giustificare questo “eccesso di zelo”, forse anche piuttosto kitsch.
Dalla lettura della notizia possono scaturire naturalmente alcune domande.
Il censurarsi può condurre verso la pace?
Si è liberi di aprirsi all’altro quando si ritiene di dover nascondere qualcosa?
Considerare offensiva un’opera d’arte significa considerare offensivo appartenere all’umanità.
Il patrimonio artistico che ci è dato di custodire forse non è solo italiano ma è dell’umanità: gli artisti sono del mondo, l’arte non ha patria, circola e appartiene a tutti, come l’aria.
Pace non è assenza di conflitto, è piuttosto ricerca del modo migliore per attraversare il conflitto, la divergenza e il contrasto che inevitabilmente si creano dove c’è una società di uomini liberi.
Il dialogo si costruisce con il confronto, con lo scambio e la relazione vissuta e partecipata.
Come molti filosofi e psicologi in tempi e luoghi diversi hanno insegnato, l’arte appartiene ad una dimensione che travalica il livello razionale dell’uomo, attingendo e sconfinando in un altrove che è mistero e meraviglia.
Si può ridurla entro confini puramente razionali e schiacciarla entro un opinabile criterio morale?
Sono molte le domande che possiamo continuare a formulare.
Abbiamo tempo per trovare delle risposte soddisfacenti prima che qualcuno ritenga conveniente cercare il modello di tanga più appropriato per il David di Michelangelo Buonarroti.